aspetto il biografo francese ne rappresenta
quest’atto della vita dell’esimio compositore
italiano; e all opposto nell’offrircelo sotto
un punto di vista lutto diverso, il già citato
sig. Schizzi osserva non essere codesta,
a suo giudizio. la pagina meno onorevole
della storia del nostro artista, come
quella che porge esempio di un’abnegazione
degna d’ogni lode. Or si giudichi in quanti
contrarii modi le umane azioni ponno e
sogliano venire interpretate!
Di ritorno a Napoli Paisiello fu restituito
a’ suoi uffici presso la Corte, della qual
cosa ei fu in parte consolato per i perduti
onori di Parigi: senonchè a quei giorni i
politici rivolgimenti turbavano da uno ad
altro istante le più tranquille esistenze, e
Paisiello avrebbe avuto, al par di tant’altri,
a movere lamento di questa penosa incertezza
di cose, se non era Giuseppe Bonaparte,
il quale, succeduto sul trono di Napoli
a’Borboni, ritrattisi un’altra volta in
Sicilia, riconfermava all’esimio artista, tanto
favorito dall’imperiale fratello, gli impieghi
di Direttore della B. Cappella e maestro
della musica di Camera, ch’egli occupava
presso Ferdinando IV, e fissava a mille e
ottocento ducati i suoi emolumenti. Al tempo
stesso, Napoleone lo faceva insignire
della croce della legion d’onore, alla quale
andava unita una pensione annua di mille
franchi.
A servizio della Cappella della nuova
Corte compose Paisiello ventiquattro complete
musiche di Chiesa, e in occasione
della festa del Re fece rappresentare la
sua ultima Opera i Pitagorici, la quale
gli valse la decorazione dell’ordine del
Regno delle due Sicilie; Giuseppe Bonaparle
gli conferì parimente la nomina di
membro della Società reale delle Scienze
ed Arti di Napoli e di presidente della Direzione
del Conservatorio di musica, il cui
ordinamento era stato sostituito alle vecchie
scuole del regno. La più parte delle
Società accademiche accoglier vollero il
nome del grande compositore napoletano
tra quelli de’ loro membri, e nel 1809
l’Istituto di Francia lo onorò del titolo di
socio straniero.
Allorachè il fratello di Napoleone cedette
il trono di Napoli a Murai per ire ad assidersi
su quello di Spagna, il novello Monarca
conservò a Paisiello tutti i suoi titoli
ed impieghi. Se non che, le vicissitudini
dei troni, sì frequenti nel primo periodo del
nostro secolo, serbavano all’autore dellaNina
lo spettacolo di una seconda ristorazione dei
Bori boni. In una Memoria dettata intorno
a Paisiello, dall’illustre autore della Vita
di Raffaello, ecc., il sig. Quatremère de
Quincy così si esprime nel proposito delle
ultime peripezie della vita del celebre maestro: «Egli visse abbastanza da poter vedere
reintegrata in tutti i suoi diritti l’augusta
famiglia alla quale era debitore dei
primi incoraggiamenti ricevuti, e che costante
nella sua benevolenza protettrice gli
prodigò gli ultimi favori». Noi ameremmo
prestare ampia fede a questa attestazione
di uno scrittore molto lodato per accuratezza
di indagini; ma la imparzialità che
ci siam proposti ne costringe a contrapporre
alle parole del sig. Quatremère altre
improntate di non minor sembianza di verità,
sebbene al tutto oppostamente significative.
Giacomo Gotifredo Ferrari, allievo
del medesimo Paisiello, ne’suoi Aneddoti
piacevoli ed interessanti, riferisce di aver
riveduto il proprio maestro in Napoli alcuni
mesi prima ch’ei si morisse; e con
questi precisi detti ne fa consapevoli della
situazione in che ei trovavasi negli ultimi
anni del viver suo.
«Al nostro primo abboccamento (così
egli) mi parlò di tutte le disgrazie che eran
piombate su di lui. L’affezione ch’ei portava
a Napoleone e alla sua famiglia era
stata cagione che gli fosse tolta la pensione
che in altro tempo ei riceveva da Ferdinando
IV. Le circostanze politiche gli avevano
fatto perdere anche quelle che gli
erano state accordate dalla gran duchessa
di Russia e da Napoleone. Era quindi costretto
a campare coi modici assegni della
R. Cappella, di limitarsi al più stretto necessario,
ecc.».
Un punto importante che riguarda il carattere
morale di Paisiello è oppostamente svolto
dai diversi suoi biografi: «Per l’immensa
sua riputazione fatto superiore a tutte le
piccole passioni ei non conobbe mai il sentimento
della rivalità»; con queste parole
si esprime sul conto di lui la Biografia
Universale degli uomini illustri. Ed il già
ripetutamente lodato ìsig. conte Folchino
Schizzi, nella pregevole sua Memoria, ricordando
l’occasione in cui Rossini ebbe a
scrivere pel teatro di Roma il Barbiere
di Siviglia, ne fa sicuri che Paisiello, ben
lungi dalfaltraversarsfal giovine suo emulo,
adoperò spontaneo a spianargli la via a una
felice riuscita.
Veggasi ora con quali precise parole si
esprime su questo particolare il sig. Fétis
nella già accennata sua biografia di Paisiello.
«Nella sua vecchiezza ei non si mostrò
per nulla generoso verso i giovani
artisti dei quali avrebbe dovuto farsi il
protettore naturale; perocché è noto come
ei trovar sapesse lutto il suo ingegno nel
rigiro contro Rossini, le cui brillanti primizie
annunziavano una gloria novella destinata
a far dimenticare le glorie d’altri tempi».
Non osando farci arbitri in questa spiacevole
discrepanza di giudizii, siam costretti
a limitarci al desiderio che altri, più di noi
felici nelle biografiche indagini, trovi modo
a scolpare l’insigne italiano di tutte le
macchie delle quali in questo nostro scritto
non gli abbiamo fatto grazia.
Ma ora eccoci agli ultimi istanti della
sua vita. Già da alcuni anni aveva sofferti
non pochi insulti la mal ferma sua salute.
I crucci dell’animo e i disinganni finirono
di logorare le poche estreme sue forze; il
giorno 5 Giugno del 181G spirò all’età
di 7S anni. È a supporre ch’egli, per non
so quale debolezza eli spirito, non amasse
essere creduto sì vecchio, ove si noti che
scrivendo ad un amico suo alcuni giorni
prima di morire ei non si dava che G4 anni.
Una messa da morto trovata nelle sue
carte fu cantata a’ suoi funerali. La sera
medesima nel Gran Teatro di S. Carlo si
rappresentò la sua Nina. S. M. il re Ferdinando
1Y e tutta la Corte vi intervennero
per onorare la memoria dell’illustre
compositore morto nella dimenticanza.
In altro apposito breve articolo diremo
alcuna cosa intorno allo stile e al particolare
ingegno musicale di Paisiello, e daremo
anche un quadro sommario delle molteplici
sue composizioni! G. B.
CRITICA MELODRAMMATICA.
Nuove rayiireseutazionì
al teatro Ite.
Mercoledì scorso avemmo a questo teatro
la prima delle tre nuove Opere promesse.
E questa un melodramma tragico
del sig. Monteverde, reso in musica dal
maestro Fabio Campana, intitolato Giulio
cT Este. - Codesto spartito giunse tra noi
1 1.!». A, 1 -. "
carico degli allori colti in più e più teatri, se
stiamo a detta dei giornali, ed in parte
anche alla voce pubblica: dal che ne derivò
forse un cotal grado di prevenzione
favorevole da riuscire dannosa più ch’altro
al suo successo. Se ne incolpi ciò che
più piace, certo si è che la musica poco
o nulla incontrò il comune aggradimento,
quando si eccettui un brevissimo cantabile
nella cavatina del Basso, una cabaletta del
Tenore, ed alcune frasi appassionate nell’ultima
scena. Il restante passò freddo, freddo.
Chi però volesse indagare una qualche
ragione del perchè tra noi la musica del
sig. Campana non abhia piaciuto, mentre
in tanti altri teatri ha pur levato di sé
grande romore, spenderebbe per certo inutilmente
il suo tempo. Sebbene a malincuore,
siam pur costretti a confessare che in
questa circostanza abbiam dovuto dividere
interamente il giudizio degli abituati del
Re, nel condannare questo spartito come
mancante affatto di validi effetti drammatico-teatrali.
Al che vuoisi aggiugnere essere
i canti quasi sempre privi di originalità,
ed anzi più e più volte plagiarj;
che anche allorquando il compositore abbandonasi
alla propria vena, il che succede
assai di rado, appalesansi stentali,
monotoni, indecisi, e mancanti di ferma impronta
ritmica e periodala: che l’istromentale
è povero e sbiadito, l’istromentazione
incerta, e priva affatto, a quanto appare,
di fondata conoscenza de’differenti stromenti,
che la tessitura de’pezzi manca di scopo
allo spicco delle tinte, e che, a compenso
di tulte queste mancanze, ben poco valgono
i pochi canti sovraccennati, che staccati
dal restante, potrebbero tuttavia essere
pegno di migliori cose. E chi lo sa?
Non sarebbe la prima volta che le nostre
pagine avessero a notare una di queste fasi.
- Oltre ai signori Pancani e Bartolini, che
abbiam già nominato con lode, parlando
della riproduzione della Lucia, e che qui
pure si sono conservati nella stessa aura di
favore popolare, abbiamo nella rappresentazione
di questo spartito fatta una nuova conoscenza: ed è quella della signora Goggi
che vi sostiene la parte primaria del soprano.
Questa artista vuol essere lodata per giusta
e molto addentrata conoscenza di canto,
e di ciò che comunemente appellasi possesso
di scena, del quale anzi, per vero
dire ella forse qui abusa alcun poco, stantechè
la ristrettezza del palco scenico del
Re esige, come nella spinta vocale, una moderazione
anche nelle mosse della persona.
Ritornando alla nostra partita principale,
vale a dire a parlare del canto della signora
Goggi, vuoisi osservare che la sua voce tal
quale ora esiste deve dirsi di soprano, percliè
tale è anche la tessitura della sua parte,
e perchè anche essa si appoggia con sufficiente
sicurezza sulle più acute note di
questa chiave. Ma il carattere pesante e
rotondo delle sue note basse e la loro estensione,
e il timbro gutturale ed alquanto
stentato delle voci di mezzo fanno in parte
credere, o almeno sospettare, che quest artista
non fosse altre volte che un semplice
contralto, esteso bensì e tendente al più
al mezzo-soprano. Ed a parer nostro egli
è forse a tale sforzo e a tale spostamento
di tessitura che devesi attribuire quella
mancanza di volume e rotondità, e quella
magrezza che riscontrasi in ispecial modo