tra queste veri capolavori di stile e di ispirazione.
Gli Oratorj, la Passione ed il
Natale, ed il mottetto Judicabit in nationibus
non clic il suo Miserare, ponno addursi
a modelli di quel genere di musica
nel quale la severità del colorito e il predominio
delle idee cupe e affettuose ad un
tempo imprimono un carattere sì grave
che per nulla può confondersi col fare tragico
del teatro che deve svegliare ben diversi
sentimenti. «In un suo sublime motti
tetto, (dice Lesueur parlando di Paisiello)
«nel quale è dipinta la grandezza di Dio,
«sembra che innalzato ei siasi sopra sè stesti
so. Udendo i pittoreschi e terribili tratti
«di quella musica imitativa per eccellenza
«e sì bene appropriata alle parole sacre alle
«quali essa dà anima, l’empio crederebbe
di udire il movere formidabile del suo giu«dice, il fragore del suo carro di fuoco e
«la irrevocabile sua sentenza. Succedono alti
l’improvviso una musica brillante e de’cori
«aerei. In tale momento i canti di Paisiello
tt degni della voce del profeta predicono
«l’invio dello spirito creatore, la terra rin«novata e la beatitudine della vita futura.»
Queste espressioni parranno di sovverchio
enfatiche agli intelletti mediocri avvezzi
a non giudicare del prodotto dell’arti
che col povero sguardo dei sensi. Coloro
al contrario, i quali, per la propria educazione
e coltura hanno affinato lo spirito e
sanno sentire quanto vi ha di eminentemente
poetico nelle vere ispirazioni del
genio artistico, sotto qualunque forma si
offrano, non troveranno per certo nulla di
esagerato o di pretenzioso nè in queste nè
in altre simili frasi, in cui allo scrittore che
sente con anima non volgare occorre spesso
di dover esprimere la propria ammirazione
con immagini elevate e poco meno che liriche.
L’artista, sia egli pureo pittore, o musico,
o drammaturgo, sentirà l’efficacia e
si compiacerà al vivo di 1111 simile modo
di tratteggiare le bellezze dei prodotti delle
arti, in ragione della raffinatezza del proprio
spirito ottenuta con fruttuose meditazioni
estetiche e con serie e istruttive
letture. Argomentiamo da questo della necessità
di non limitare l’educazione dell’artista,
che si destina a splendido avvenire,
alla sola trattazione della parte tecnica
dell’arte, ma sì di elevare il suo intelletto,
avvigorire il suo spirito, allargare l’orizzonte
delle sue idee con eletti studii letterarii.
Paisiello era più che convinto di questa
verità. Versato nelle lingue antiche, erudito
nelle diverse letterature, amico di
molti uomini illustri del suo tempo, amava
assaissimo la conversazione e il carteggio di
questi,. e tanto meglio se ne compiaceva
quanto più poteva ritrarne istruzione e far
tesoro di nuove nozioni e svariate idee.
La fecondità di Paisiello, dice il signor
Fètis, era prodigiosa; il numero delle sue
composizioni era sì grande eli’ ei medesimo
non lo conosceva esattamente. Interrogatone
dal re di Napoli attualmente sul
trono, rispose d’aver scritto circa cento
Opere, ma se teneva conto degli intermezzi,
farse, balli, cantate drammatiche,
musiche da Chiesa, poteva giugnere a una
altra centina. Egli soleva dividere in tre
principali epoche la sua carriera teatrale.
Nella prima si comprendono tutte le Opere
da lui scritte prima della sua andata in
Russia, nella seconda tutte le sue composizioni
date dal suo giugnere in questo
paese fino al ritorno a Napoli. Nell’ultima
tutte le produzioni della sua penna, scritte
dal 178o fino alla sua morte.
E in fatto notevoli differenze di stile si
osservano nelle sue Opere appartenenti
a queste tre diverse epoche. Prima del suo
viaggio in Russia Paisiello compose cinquantadue
Opere per teatro, comprese però
alcune cantate, nella penultima delle quali,
che fu la Dis/alta dì Dai io. si udì per la
prima volta un’aria in due tempi,’ cominciata
cioè coll’adagio e terminata con un allegro.
Quest’aria «Mentre ti lascio, ofiglia»
cantata la prima volta dal tenore Ànsani,
servì di modello alle mille e mille che poi si
scrissero in due tempi, ben di rado per
servire alla natura del punto drammatico
e al movimento incalzante degli affetti,
unica legge ubbidita da Paisiello in quel
primo esempio di emancipazione all’usata
forma, ma per lo più all’uopo di sottrarsi
alla somma difficoltà di comporre un
pezzo tessuto d’un sol movimento e variato
nelle varie fasi dell’espressione drammatica,
non tanto pel meccanismo del ritmo
come per l’indole e il carattere diverso
dei passi e delle modulazioni e transizioni.
La prima Opera scritta da Paisiello in
Russia fu la Setva padrona. Nel Pirro,
opera decimanona, data a Pietroburgo, introdusse
per la prima volta le Introduzioni
e i finali nel genere serio, specie di composizioni
concertate che per lo innanzi non
erano ammesse che nelle Opere buffe,
non essendosi ancora osato darvi posto nei
melodrammi eroici, forse nell’opinione, a
nostro credere, che ne’ pezzi di concerto si
violasse di tanto la verosimiglianza drammatica
che, se quel misto di voci contemporanee,
quasi ridicolo a chi non vi sia avvezzo,
poteasi tollerare nelle comiche rappresentazioni,
diventar doveva più che assurdo
e quindi distruggere l’effetto serio,
nelle situazioni di risentito contrasto di
passioni. - Gli esempi! posteriori addimostrarono
la fallacia di questa opinione, se
mai fu in forza di essa che fino dal tempo
del Pirro di Paisiello i compositori si
astennero dell’ammettere nelle Opere serie
le introduzioni e i finali concertati.
Ir1 Nina o la pazza per amore, settantesima
sesta Opera di Paisiello, scritta da
lui dopo il suo ritorno dalla Russia, allorachè
cioè i suoi nemici facevano correr
voce aver egli perduta la freschezza e la
spontaneità del suo estro ne’freddi nebbioni
del settentrione, comparve la prima
volta sul piccolo teatro di Belvedere, reai
residenza presso Napoli, indi venne riprodotta
sulle scene di San Carlo coll’aggiunta
del tanto lodato quartetto di questo spartito.
Nella Giunone e Lucina, cantata drammatica
scritta a Napoli, introdusse Paisiello
la prima aria con cori che siasi prodotta
in Italia.
11 totale delle Opere teatrali di Paisiello,
comprese alcune cantale, ammonta a 94, e
l’ultima in ordine cronologico furono i Pittagorici,
da lui dati a Napoli.
Diciotto composizioni sacre, e sei Raccolte
di Opere stromentali o di insegnamento
completano l’immenso corredo di
partizioni dovute al fecondo e privilegialo
suo genio.
Parrà forse ad alcuni de’ nostri lettori
che noi abbiamo di troppo allargato le proporzioni
di questa biografia. Ma noi li preghiamo
di averci per iscusati non solo
della imperfezione ma ed anche della lunghezza
del nostro lavoro, osservando essere
appunto della natura di questo nostro
Giornale l’occuparsi forse più sèriamente
del passato dell’Arte che 11011 del presente,
e questo per la gran ragione che molto
più abbiamo noi da imparare dagli antichi
che non da’ contemporanei.
Eppoi al tempo nostro in cui i grandi
compositori della vecchia scuola italiana
sono avuti in sì poco conto, è bene che
un foglio, dedicato al progresso della musica, si sforzi a richiamarne |nel dovuto
onore la memoria. G. B.
DELL’ISTROMENTAZIONE.
ARTICOLO V.
(Vedi i fofli i, 8, 10, 19, H, fi, 26 e 27/
Or veniamo a dire degli stromenti da
fiato senza ancia, i quali sono i flagioletti
e i flauti.
Poco avrò a dire de’ primi, poiché ad
onta del valore veramente singolare di alcuni
suonatori, ad onta del piacere che un
bene eseguito solo di flagiolelto può talvolta
produrre, questo piccolo stromento non è
mai stato adoperato da’maestri dell’arte,
ed essi ragionevolmente filarino sbandito
dalle loro orchestre. Però ne’ motivi di
danza di genere brillante e gaio male non
sarebbe usato; ma, per mio avviso, questa
è la sola eccezione che si potesse fare in
suo favore. 11 suo timbro ha un non so
che di meschino e di comune che lo rende
male alto ad ogni sorta di composizione di
stile meno che pedestre ed umile; la sua
estensione non passa le due ottave, e dalle
ultime sue tre o quattro note acute infuori,
la sua sonorità è debole e fiacca oltremodo.
I flauti all’incontro sono pressoché indispensabili
nella istromentazione, quantunque
sieno sovente fatti figurare in quei
pezzi dove meglio farebbero a tacersi. Essi
insieme con una estensione di quasi tre
ottave, hanno una mirabile ugualità che li
rende sì acconci ai rapidi tratti diatonici
o cromatici, che agli arpeggi. La loro sonorità
nelle note mezzane è dolce, penetrante
nell’acuto, ed espressiva nel grave.
II timbro delle note mezzane ed acute
11011 ha speciale espressione decisa. Può
questo stromento adoperarsi per melodie
e per accenti di vario genere, ma non
potrà mai raggiugnere la nativa gaiezza
dell’oboe o la nobile morbidezza del clarino.
Egli si direbbe adunque che il flauto
fosse uno stromento pressoché sfornito di
qualità espressive, e da potersi impunemente
mettere in opera in tutto e per tutto
per cagione della sua pieghevolezza ad eseguire
i gruppi di rapide note, ed a sostenere
gli acuti suoni utili all’orchestra per
complemento dell’armonia. Questa è la verità,
generalmente parlando; però, dando
attento orecchio, si ravvisa nel flauto una
espressione sua propria. ed una attitudine
a rendere certi sentimenti non propria
cl’alcun altro stromento. Se trattasi
a cagion d’esempio di dare a un canto mesto
un accento di desolazione, ma che debba
tornare nel medesimo tempo umile e rassegnato,
i suoni mezzani e deboli del flauto,
specialmente ne’ tuoni di do minore e di
re minore, produrranno certamente l’effetto
desiderabile. U11 solo maestro mi pare aver O
tratto convenevol partito da questa debole
maniera di colorito: ed è Gluck. Ascoltando
l’aria pantomimica in re minore che egli
ha introdotto nella scena de’ Campi Elisii