dell’Oifèo, si vede di per sè die un flauto
solamente poteva filine sentire il canto. Un
oboe sarebbe stato troppo stridente, nè la
sua voce sarebbe stata abbastanza pura:
troppo grave è il corno inglese: un clarino
sarebbe meglio convenuto, ma alcuni suoni
troppo sarebbono riescili forti, e nessuna
delle sue più dolci note avrebbe potuto
essere temperata e ridotta alla debole sonorità,
tranquilla e velata, del/a naturale
mezzano e del primo si bemolle oltre le righe
che tanto di tristezza danno al flauto in
questo tuono di re minore, nel quale spesso
queste due note sono impiegate. Finalmente
nè il violino, nè la viola, nè il violoncello
o in solo trattati o in complesso adoperati,
sarebbero acconci all’espressione di quel
gemito più che sublime d un’ombra che
disperatamente geme e sospira: e precisamente
vi conveniva solo l’istromento scelto
dall’autore. E la melodia di Gluck è concepita
in modo che il flauto si presta a
tutti i movimenti agitali di questo eterno
dolore, ancora non ispoglio dell accento di
passione della vita mortale. La è in prima una
voce appena percettibile che si direbbe temere
di essere ascoltata; poscia ella debolmente
geme, si leva all’accento della rampogna,
a quello del profondo dolore, al
grido d un cuore straziato da crudeli ferite,
e ripiomba a poco a poco nel pianto, nel
gemito, nel tristo ululato d un anima rassegnata...
Qual poeta è egli Gluck!...
Un effetto Lello per dolcezza è quello
di due flauti che nelle loro mezzane note
spieghino un andamento per terze, in mi
bemolle o in la bemolle, tuoni ottimamente
favorevoli all’opacità de’ suoni di
questo stromento. Belli esempli se ne trovano
nel coro de’sacerdoti nel primo atto
dell’Edipo: O voi, cui Vinnocenza,• e nella
cavatina del duetto della Veslale di Spontini:
Avran gii Dei pietà! Le note si bemolle, la
bemolle, sol fa e mi bemolle de’flauti hanno,
così aggruppate, un certo che della sonorità
dell’armonica. Le terze degli oboe, dei
corni inglesi o de’ clarini, non v hanno che
far punto. I suoni gravi dei flauto sono
poco o male impiegati dalla più parte de’
compositori; Weber in molti passaggi del
Freyschutz, e prima di lui, Gluck nella
marcia religiosa dell’Alceste, hanno nondimeno
mostrato tutto ciò che può aspettarsene
nelle armonie piene di gravità e
di solennità. Queste note basse, come ho
detto, si affanno ottimamente e si accoppiano
bene co’ suoni gravi del corno inglese
e del clarino; esse danno un effetto
di dolcezza insieme e di mestizia. In generale
i maestri moderni troppo costantemente
scrivono i flauti in acuto; essi mostrano un
cotal timore che abbastanza non abbiano a
distinguersi oltre la massa dell’orchestra.
Ne resulta che essi predominano invece di
fondersi nell’insieme, e 1 istromentazione
diviene stridula e dura piuttosto che sonora
ed armoniosa.
I flauti hanno una famiglia del pari che
gli oboe e i clarini, e del pari numerosa.
Il flauto grande, del quale abbiamo testé
ragionato, è il più usitato. Per le orchestre
ordinarie si scrivono comunemente due sole
parti di flauto; sarebbero di buono effetto
sovente gli accordi tenuti da tre flauti. Si
ha una gradevole sonorità dall" accoppiamento
d un flauto solo in acuto, con quattro
violini, tenenti un’armonia acuta a cinque
parti. Quantunque ragionevole sia l’uso
di assegnare sempre al primo flauto le più
alte note dell’armonia, v’hanno però molte
occasioni di fare con successo il contrario.
Il piccolo flauto (ottavino) non ha note j
decise che a partire dal re di mezzo salendo, ]
e torna quasi inutile scrivere le note dell’ottava
inferiore, poiché a pena si potrebbono
sentire, non avendo il loro timbro qualità
particolare nessuna. Meglio è supplirvi con
suoni che a quelle corrispondano nella
seconda ottava del flauto grande. Oggidì
stranamente s’abusa degli ottavini, come
ancora di tutti gli strumenti di vibrazione penetrante
e potente. In pezzi di giojoso carattere,
i suoni della seconda ottava possono
essere ottimamente adoperati, le note
superiori mi, fa, sol. la. si bemolle sono
nel fortissimo eccellenti per gli effetti violenti,
in un temporale per esempio, od in
una scena di carattere feroce e infernale.
Però l’ottavino ottimamente spicca nel
quarto pezzo della Sinfonia pastorale di
Beethoven, così solo e.scoperto sopra un
tremolo grave delle viole e de’bassi, imitando
il primo fischiare d’un uragano che
non per anche è scoppiato e dirotto, e ciò
colle sue note sopracute insieme all’intera
massa dell’orchestra. Gluck, nella tempesta
dell’Ifigenia in Tauride, ha saputo ancor più
argutamente far digrignare e stridere gli
acuti suoni di due ottavini all’unisono,
scrivendoli in uua successione di seste alla
quarta superiore de’ primi violini. 11 suono
degli ottavini che riesce all’ottava sopracuta
produce per conseguente co’ primi
violini una successione di undecime la cui
asprezza non può là tornare più opportuna.
Nel coro de’ Sciti dell’Opera medesima i
due ottavini raddoppiano all’ottava i gruppetti
dei violini; queste note fischianti
miste agli ululati della turba selvaggia, al
fracasso misurato e continuo de’cembali
e tamburini, fanno veramente fremere.
Tutti hanno ammirato lo sghignazzamento
diabolico di due ottavini in terza nel brindisi
del Freyschutz, che è uno dei più felici
trovati d’orchestra di Weber.
Sponliui nel suo magnifico baccanale
delle Danaidi (divenuto poscia un coro orgiaco
di Nùrmahal) ebbe pel primo l’idea di
unire un breve grido e penetrante degli ottavini
ad un colpo di cembali, La singoiar
simpatia che si stabilisce in questo caso fra
questi due sì dissimili strumenti, non era
stata in prima supposta da alcuno. Egli è
come un colpo di pugnale che taglia e
strazia ad un tempo.
Questi diversi esempi ed altri ancora che
io potrei citare mi paiono mirabili per
ogni conto. Beethoven, Gluck, Weber e
Spontini hanno per tal modo fatto uso ingegnosamente
ed in maniera originale e ragionevole
dell’ottavino. Ma quando io sento
questo istromento adoperato a raddoppiare
alla tripla ottava il cauto d’un basso-cantante,
a gettare la sua stridula voce per
mezzo ad un’armonia religiosa, a rafforzare,
per vaghezza di rumore, la parte
alta dell orchestra dal principio alla fine
d un atto d’Opera, io non posso a meno
di accusare questa maniera d istromentazione
di stupidità degna, per lo più, dello
stile melodico al quale essa è applicata.
L’ottavino può tornare di buon effetto
ne’dolci passaggi, ed è un pregiudizio
quello di credere che esso non vaglia che
a suonar fortissimo. Qualche volta serve a
continuare l’estensione in acuto del flauto
grande, facendolo pigliare il suo posto
al momento che le note acute del flauto
vengou meno. 11 passaggio dall’uno stromento
all’altro deve essere però maneggiato
in modo che sembri un solo stromento che
abbia eseguito tutto il passo. Un gradevole
esempio di questo stratagemma si trova in
una frase eseguita pianissimo sopra una
tenuta grave degli stromenti da corda nel
primo atto dell Opera le Dica et la Baiadère, del sig. Auber. Si adoperano vantaggiosamente
nelle musiche militari tre
altri flauti che potrebbono essere del pari
un buono incremento alle orchestre ordinarie:
questi sono il flauto terza (detto in
fa’), il flauto nona (detto in ini), e l’ottavino
decima (detto ni fi ed ancora decimino)
che è all’ottava alta del flauto terza.
Diciamo intanto che questi flauti, che un uso
ridicolo fa di varie nature, non sono più
in fa o in mi bemolle di quello che il
flauto grande comune sia in re. Essi sono
alla terza, alla nona, alla decima, minore
sopra a questo. Ora, come il flauto ordinario
rende i suoni tal quali sono scritti,
come do produce do e non re, come esso è
al medesimo diapason che il clarino in do,
e i corni in do, e le trombe in do, e nel
medesimo dipason clic i violini, le viole e
i bassi, ne viene che esso è in do e non
in re, che i flauti terza e decima sono in
mi bemolle e non in fa, e finalmente che
il flauto nona minore è in re bemolle e
non in mi bemolle.
Questi diversi flauti, che aumentano all’acuto
l’estensione dell istromento, sono
ancora pili utili per la facilità che danno
all esecuzione dei pezzi scritti ne’ tuoni
ove sono molti diesis o bemolli, e conseguentemente
molto ardui pei flauti ordinarli.
Il timbro del flauto terza però non
è esattamente somigliante a quello del flauto
grande: esso ama più le melodie liete e
Brillanti. Peccato è dunque che per rilevare
meglio questa tendenza espressiva de flauti
alti, senza aver ricorso ai suoni troppo penetranti
in molte occasioni de’più acuti, non
si faccia un flauto quinta in sol. Pei tuoni
diesis usati più sovente ne’pezzi ove il
brio deve dominare, questo flauto mezzano,
suonando sempre con un diesis meno che
il resto dell’orchestra (in re pel tuono la,
in la pel tuono di mi) farebbe, crecl io,
maraviglie. Si possono aggiungere al flauto
grande il do e do diesis basso con due lunghissime
chiavi, ma questo e inutile avendo
noi il flauto d’amore, il cui diapason una
terza minore sotto quello del flauto ordinario
(per conseguenza in la) e il cui timbro
dolce e molle produrrebbero un delizioso
effetto. Ma per mula sorte il flauto
d’amore è quasi affatto sconosciuto. Riunendo
così nelle orchestre le compiute famiglie
di tutti gli stromenti da fiato, se
n’avrebbe, non v’ha dubbio, un effetto
del quale i giuochi de flauti, e delle ancie
dell’organo appena possono dare una debole
idea.
E. Beri.ioz.
Versione, di C. Meliini.
BIBLIOGRAFIA MUSICALE.
Re»iinieeence§ (tour Be Piano «le l’Opera
Correrlo tV AHamut’c* pai*
E. eoBBBte d’Alberti.
Milano. Presso l’Editore Cì. Iìkiordi.
L’autore di questa bella composizione, dilettante di
straordinaria abilità., venne già accusato di una menda,
seppur menda si può chiamare; gli s’imputò un abuso
di passi malagevoli, una soverchia intemperanza di difficoltà.
Rotto, così diremo, rotto ad Ogni più terribile e
rischioso arrovellarsi di note, instancabile agitatore ed
incrocicchialore di mani, nulla curante delle scmibiscrome
disparate ed a salti, insomma ardilo e franco esecutore,
egli forse non pose troppo mente che altro è l’cseguire
altro l’immaginare, abbandonandosi talora a modi di
un’ardua interpretazione, tale da rendersi inaccessibile