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tobre 1859, poi l'Osteria di Andujar nel mese di settembre del 1840, e per ultimo Cristina dì Svezia il 21 gennajo 1841. Queste Opere ottennero buon successo e fecero stimare il loro autore come il più valente fra i giovani artisti che percorrono la sua medesima carriera. Tuttavolta a me sembra sieno mancanti di originalità le sue composizioni da me vedute, e nelle cui bellezze ravvisi più di buon gusto e di intelligente disposizione che non invenzione. Tutt1 al più dobbiam dire che questa benedetta invenzione tanto rara nelle arti non è punto eccitata nell'artista italiano dalla! inclinazione] del pubblico. Molte volte mi fu data occasione di osservare che a Milano, a Roma e a Napoli non si ama prestare alla musica la seria attenzione che esige ogni novità per essere compresa. Gli italiani allorachè si recano ad udire una musica ci vanno preparati a ricevere delle impressioni passionate di piacere o di disgusto, non mai a far uso dello spirito d’analisi. Le cose clic in fatto di musica già conoscono, piacciono ad essi di più di quelle che sono per essi interamente nuove, e ciò per la ragione che non han bisogno di giudicarle. Una prima rappresentazione è una specie di crisi pei loro organi; questa crisi diventa quasi dolorosa se qualche novità di stile si presenta a sorprendere le loro orecchie, e si può affermare in prevenzione che la prima impressione sarà per essi sempre sfavorevole. Ecco da che deriva che il successo delle nuove produzioni non è confermato in Italia se non dopo ripetuti esperimenti. Adunque non facciamoci meraviglia se veggiamo la maggior parte de’ giovani compositori non fare sforzi di sorta per creare un migliore e nuovo ordine di cose nella musica drammatica^ essi non sono nella necessità di dover soddisfare ad un bisogno, ed anzi hanno argomento da temere de’ rovesci a volersi cimentare a sperimenti di novità. Non vi ha via di mezzo per essi; o è necessario che la natura li abbia dotati di un genio sovverchiante come quello di Rossini, genio che signoreggia e trionfa sempre degli ostacoli; o son costretti a seguire modestamente le vie già segnate e il gusto dominante, senza osar di tentare delle parziali modificazioni quasi sempre mal accolte (1). Il perchè in Italia non vi ha mai, a dir giusto, che un solo stile (2), laddove in Francia, in Germania ogni artista ha il suo proprio stile più o meno notevole per alcune delle mezzane prerogative che non costituiscono l’uomo di genio, ma si l’uomo di ingegno. Dopo i compositori da me or nominati, si riscontra il signor Selli, parimente allievo del Conservatorio, autore di una Ricciavda, rappresentata a San Carlo il mese di Giugno del 1839 senza buon effetto; il signor Siri autore di Reclinerò ed altre diverse Opere quasi tutte dimenticate non (1) Consentiamo in queste opinioni del signor Fétis, dedotte, a parer nostro, da savissime e giustissime riflessioni. Solo che in quanto ei disse riguardante la tendenza del pubblico italiano a non voler recare spirito di analisi nel giudizio delle novità musicali, avremmo amato fosse fatta qualche eccezione a favore di quella minoranza di intelligenti che però ne’ nostri teatri è troppo piccola por imporne alla grossa moltitudine. Di più ci sarebbe piaciuto che oltre questa causa, che mollo influisce a sconfortare i nostri giovani compositori dal farsi a tentare novelli modi di effetto], altre diverse ne avesse accennate e delle quali faremo, parola a luogo opportuno.
L’Est.
(2) Anche qui vorremmo fatta qualche eccezione a questa
gli troppo assoluta sentenza del signor Fétis, la quale è vera in
molta parte ma non in tuttoa nostro credere in pieno
lo stile di Donizetti è assai differente da quello di MerwtépM
tadante: e lo stile di Luigi Ricci non può confondersi
colla maniera di Coccia, di Vaccaj ecc.
appena prodotte; il sig. Rossi che scrisse Amelia ed altri spartiti de1 quali più non ricordo il titolo; il signor Praviller autore del Ballerino rappresentato al Fondo; in line altri nomi più o meno oscuri. Non devo dimenticare un certo signor Cohen, israelita, nativo di Napoli, che scrisse a Livorno e a Firenze con poco esito e che ho scontrato a Bologna occupato a preparare la rappresentazione ili un’Opera che doveasi cantare da madamigella Novello, Moriani e Coletti, lo scorso autunno. Egli recavasi soventi volte da Rossini, il quale parlandogli della sua Opera gli diceva sorridendo e guardando me di sott’occhio con una smorfia piccante: non dimenticate il pizzicato. Il gran maestro mi diede poi la spiegazione di questo motto informandomi che il sig. Cohen aveva accompagnate quasi tutte le melodie dello prime sue partizioni cogli stromenti a corde pizzicate. Sonovi a Napoli molti dilettanti i quali scrivono per istinto senza aver imparato la composizione e danno buoni saggi del loro ingegno, solo perchè dotati della felice organizzazione propria del napoletano nato per la musica. Fra costoro vuolsi citare il conte Gabrieli che scrisse la musica di molti Balli e di alcune Opere che più volte rappreseti tarmisi durante il mio soggiorno a Napoli, al teatro Nuovo e al teatro del Fondo. Citerò anche il marchese Staffa, d una delle primarie famiglie di Napoli, il quale fe" mostra sulle prime di volere dedicarsi con ardore al culto dell’arte, ma in questi ultimi tempi pare l abbia abbandonata per attendere agli affari pubblici. Sorto note le sue Opere la Francesca da Rimini rappresentata al San Carlo nel mese di marzo del 4851, e la Battaglia, ili Navarino che ebbero qualche successo. Anche alcuni stranieri scrivono di lauto in tanto pei teatri italiani. Trovasi a capo di essi il sig. Killer, valente scrittore musicale per forza di organizzazione e per educazione, che pur non ebbe buona fortuna a Milano. Segue il sig. Ottone Nicolai di Berlino, il quale dal 1853 iti poi fece molti viaggi in Italia e produsse alcune sue composizioni a Livorno e a Torino. Per ultimo si nomina uno spagnuolo. il signor Geuovez, il quale scrisse per il Fondo a Napoli Bianca di Belmonte nel 4835 ed un’altr’Opera a San Carlo nel 4840. In tutti i compositori or nominati io non credo che si trovi l’uomo predestinato a dare all’arte un più nobile indirizzò di quello sul quale ella procede al presente. Fin al dì d oggi l’esistenza di quest’uomo è ancora un mistero; ma io penso ch’ei non tarderà a manifestarsi, perocché un popolo il quale per molto tempo diede un gran numero d’artisti di primo ordine al resto del mondo non può essere stato colpito tutt’a un tratto da sterilità e da maledizione (1)!
Fétis padre
Direttore del Conservatorio di Bruxelles.
(1) Non possiamo convenire con quest’ultima asserzione.il
nomi ili Rossini, di Bellini, di Donizetti,
di Mercadante, le cui Opere risuonatto festeggiate in tutti
i teatri del mondo, ci assicurano che l’ingegno musicale
italiano può venire tacciato di tutl’allro ma certo non
di sterilità. Quanto alla maledizione di cui ci crede
colpiti il sig. Fétis. vogliamo per la più spiccia averla
in conto di una parola a grand’effetto gettata là per
chiudere lo scritto in modo, non sapremmo ben dire, se
sentimentale o ridicolo
Chiudiamo le nostre note, gettate là senza alcuna pretesa,
coll’enumerazione di molti compositori drammatici
italiani contemporanei, dal sig. Fétis dimenticati e clic pure
per moltissimi riguardi meritavano una speciale menzione.
- Coccia - Yaccaj - i due Ricci - Coppola - Mondanità
- Persiani - Gabussi - Marliani - Conti, ecc.
TEORICHE MUSICALI
DELL’ISTROMEONTAZIONE
ART. III (1).
Fra gli strumenti a cordo percosse il solo
pianoforte è in uso al presente. 11 pianoforte
considerato nel grado di perfezione
al quale lo han recato i fabbricatori d’oggidì
può essere riguardato sotto un doppio
punto di vista, cioè o come stromento
ti orchestra, o desso stesso come una piccola
orchestra completa. Una sola volta finora
fu trovato conveniente usarlo nell’orchestra
al modo medesimo degli altri stranienti,
vai a dire per recare all’insieme delle risorse
a lui speciali e clic altrimenti non
si potrebbero ottenere. E nondimeno alcuni
passi dei concerti di Beethoven avrebbero
dovuto por sull’avviso i compositori.
Senza dubbio essi tutti ammirarono il meraviglioso
effetto prodotto nel suo Gran
concerto in mi bemolle dalle batterie lente
delle due mani del piano con ottave negli
acuti, mentre si svolge il canto del
flauti e degli oboe e al dissotto i corni tengono
l’armonia ritmizzata dal pizzicato degli
stranienti ad arco. Cosi accompagnata
la sonorità del pianoforte è di un effetto
oltre ogni dire seducente, spira una calma
e una freschezza tutta sua propria e può
dirsi il tipo della grazia. 11 partito che se
ne cavò nel caso unico da me sopraccitato fu
al tutto diverso. L’autore in un coro di
spiriti aerei usò due pianoforti a quattro
mani per accompagnar le voci. Le mani
inferiori eseguiscono dal basso all’alto un
arpeggio rapido u tripole, al quale risponde
sulla seconda metà della battuta un altro
arpeggio a tre parti eseguito dall’alto al
basso da un flautino, un flauto grande e
un clarinetto, e al dissopra di questi freme
un doppio trillo in ottave delle due mani
superiori del piano. Veruno degli slromenti
noli varrebbe a produrre quella specie di
gorgogliare armonioso che il pianoforte può
dare senza difficoltà e che è reso perfettamente
adattato alla intenzione siliìdea del
pezzo. Se al contrario il pianoforte abbandoni
gli effetti dolci per voler gareggiare
di forza coll’orchestra, in tal caso è compiutamente
sagrifieato. E mestieri che od
egli accompagni o sia accompagnato, a meno
che noi si voglia adoperare, come l’arpa,
per masse. Questo modo di servirsi del pianoforte
nella stromentazione non sarebbe
a sdegnarsi. ma considerato lo spazio che
occupano, ci sarebbe sempre difficoltà non
poca a unire una dozzina di pianoforti pel
meno a un’orchestra sufficentemente numerosa.
Considerato come una piccola orchestra
indipendente, il pianoforte deve avere,
in certi limiti, un’istromejrtazione speciale.
Esso l’ha in fatto, e questa è arte
che spetta a quella del pianista. Tocca al
pianista in molte occasioni il giudicare se
debbe rendere spiccate certe parti mentre
le altre rimangono in una penombra, se
conviene marcare con forza un disegno intermedio,
segnando con leggerezza i ricami
superiori e lasciando ancor più deboli le
basse; tocca a lui giudicare dell’opportunità
di cambiar le dita o se convenga anche
a non servirsi, per questa o quella
melodia, che del pollice; egli che scrive
pel proprio stromento sa quando convenga
stringere o dilatare l’armonia, quali esser
debbano i vari gradi di dilatamento che
(1) Vedi il N. 5.e il N. 8 di questa Gazzetta Musicale.