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Testo in apiceaver ponno le note d un arpeggio e la diversa sonorità che ne risulta. E specialmente ei debbe sapere usare in buon punto i pedali. A questo proposito noi dobbiam dire che i principali compositori che scrissero pel piano non mancarono mai di segnare con diligenza e opportunità i passi ne’ quali è uopo alzare o abbassare il gran pedale. Epperò hanno gran torto que’ signori artisti, e ve n’ha molti de’più valenti, i quali si ostinano a non fare conto di quelle indicazioni e a tener quasi sempre alzati gli smorzatori, non punto riflettendo che in questo caso, delle armonie eterogenee denno per necessità prolungarsi le une sulle altre e produrre i più aspri disaccordi. Questo è un abuso deplorabile di un mezzo eccellente-, è il fracasso, è la confusione sostituita alla sonorità. E d’altra parte ella è la conseguenza naturale della insoffribile e incorreggibile tendenza degli artisti grandi e piccoli, cantanti e stromentisti, intelligenti e non intelligenti, a volere sempre sporgersi innanzi agli altri e far valere sopra tutto ciò che falsamente e’reputano essere loro convenienza personale. Nessuno o ben poco conto essi fanno dell’inalterabile rispetto che ogni esecutore deve al compositore e delfobnligo tacito ma assoluto che il primo assume versò l’uditore di trasmettergli intatto il pensiero del secondo, o sia ch’egli onori un autor mediocre servendogli da interprete, od abbia egli stesso l’onore di trasmettere l’immortai pensiero di un uomo di genio. E nell’uno e nell’altro caso l’esecutore, il qual si permette, obbedendo al suo momentaneo capriccio, di modificare le intenzioni del compositore, pensar dovrebbe sul serio che l’autore dell’opera precisa ch’egli eseguisce, probabilmente pose a più doppii maggior attenzione a determinar il posto e la durata di certi effetti, a indicare questo o quel movimento, a disegnare a quel dato modo la melodia e il ritmo, a scegliere que’ dati accordi e slromenti, che non egli l’esecutore ne metta a far il contrario. Non è mai abbastanza gridato contro codesta ingiusta prerogativa che troppo spesso si arrogano gli stromentisti, i cantanti,ei capi-orchestra. Una simile mania non solo è ridicola, ma grandemente dannosa come quella che addurrà nell’arte i più deplorevoli disordini. Debb’essere opera de’ compositori e de’critici l’intendere a non tollerarla mai più quindi innanzi. Un pedale che si usa molto meno di quello del forte, e dal quale Beethoven ed altri cavarono bellissimo partito, è il pedale unicorde; il quale non solo risulta di ottimo effetto messo in contrapposto col suono ordinario del pianoforte e colla sonorità pomposa che produce il gran pedale, ma è di una assoluta utilità per accompagnare il canto nel caso in cui la voce del cantante sia debole, o nell’altro anche più frequente in cui vogliasi dare alla esecuzione un carattere speciale di dolcezza e di intimità. Gli stromenti d’arco la cui unione forma ciò che molto impropriamente si chiama il quartetto. sono la base, l’elemento costitutivo dell’orchestra. È dovuta ad essi la maggior potenza espressiva ed una incontestabile varielà di timbri. I violini in ispecie si prestano a una varietà di mezze tinte in apparenza inconciliabili. Presi in massa hanno essi la forza, la leggerezza, la grazia, gli accenti cupi e giocondi, il tuono mesto e meditabondo e l’appassionato e veemente. Tutto sta nel saper farli parlare. A me sembra impossibile indicare in che modo il compositore possa ottener tanto effetto; è fuor di dubbio che una specie di particolare istinto vale solo a scorgerlo a ciò, nell’etto di scrivere. Ormai i violini sono atti ad eseguire tutto ciò che si vuole. Suonano essi sugli acutissimi quasi colla medesima facilità come sulle voci di mezzo; i passi di maggior agilità, le modulazioni più bizzarre non sono ostacoli per essi. Nella quantità, ciò che è onunesso dall’uno vien eseguito da un altro, e nel tutt’insieme il risullato ottenuto, senza che gli sbagli appariscano, è appunto la frase notata dal compositore. In oltre, i violini non si stancano punto, sicché non è duopo calcolare, come si pratica cogli stromenti da fiato, la durata d’una voce tenuta, nè offrir loro di tempo in tempo delle pause. I violini sono servi fedeli, intelligenti, attivi e instancabili. Penso olie molto più di (pianto si praticò fino al presente si potrebbe adoperare felicemente nei canti larghi la quarta corda ed alcune note alte della terza colf indicare con precisione fin dove queste corde debbano essere adoperate esclusivamente, senza di che gli esecutori non lascerebbero di cedere all’abitudine e alla facilità clic offre il passaggio da una corda all’altra per eseguir la frase al solito modo. Spesso accade che per dare ad un passo molta energia si raddoppia l’ottava de’violini primi colla ottava inferiore de’ secondi; ma, se il passo non è altissimo, è molto miglior partito raddoppiarlo all’unisono; nel qual caso è incomparabilmente più robusto e più bello l’effetto. 11 tuonante scoppio della perorazione del primo pezzo della sinfonia in do minore di Beethoven è dovuto ad un unisono di violini. In così fatte occasioni accade talfiata che, uniti all’unisono i violini, se vuoisi aumentarne la forza coll’aggiugnervi le viole nell’ottava sottoposta, questo raddoppiamento inferiore troppo debole a raffronto della disproporzione della parte superiore, produce un mormorio inutile pel quale, anziché accresciuta, è affievolita la vibrazione delle note acute de’ violini. Nel caso che la parte di viola non possa disegnarsi in modo spiccato, è miglior partito adoperarla a rinforzare il suono de’violoncelli, ponendo attenzione a farle andar insieme ( tutto quel più che è permesso dall’estensione dello stromento nelle voci basse) all’unisono e non per ottava. Le melodie tenere e lente, che al tempo nostro troppo spesso si affidano a stromenti da fiato, non producono mai sì buon effetto come allorachè sono eseguile dai violini in massa. Nulla v’ha che agguagli la dolcezza penetrante d’una ventina di cantini posti in vibrazione da venti archi ben esercitati. È la vera voce femmina dell’orchestra; una voce passionata e casta ad un tempo, straziante e soave che piange e grida e geme, e canta e mormora, o prorompe con accenti d’esultanza con tanta evidenza che certo non si potrebbe ottener la maggiore da altro qualsivoglia stromento. Un impercettibile movimento del braccio, un tratto d’espressione poco men che inavvertito da un solo violino, moltiplicati che sieno da molti unisono, producono delle tinte magnifiche, degli slanci irresistibili, degli accenti che penetrano fino al fondo del cuore. Sono poco usati ai nostri di gli arpeggi de’violini nelle orchestre. Gli arpeggi scritti nelle loro Opere da Gretry e da qualche suo contemporaneo mancano per verità di larghe intenzioni, ma perchè una cosa fu fatta male ei non è a dire che non si possa farla meglio. Anzi, tutl’al contrario vi ha degli arpeggi eleganti e nondimeno di agevole esecuzione, ì quali ponilo essere concertati in deliziosi accompagnamenti. I cosi detti suoni armonici, sconosciuti ai più rinomati esecutori, o poco meno, fino al tempo di Paganini, doveansi considerare come di uso impossibile nell istromentazione. Ma a questi dì son fatti cosi famigliari ai giovani nostri violinisti che nel medesimo pezzo in cui si trovano i suoni armonici di arpa, de’ quali si è parlato più in alto, l’autore di questo articolo non esitò, divisi avendo i violini in quattro parti, a dare delle note tenute armoniche ai tre violini inferiori, e l’esecuzione sortì perfettamente l’effetto proposto. Gli accordi, oltre la tenuità eccessiva del suono, tenuità resa anche maggiore dall’uso dei sordini, si presentano nei più alti acuti della scala musicale, là dove sarebbe appena possibile toccarli co’ suoni ordinarii. Nello scrivere queste parti di violino, è necessario di essere diligenti nel segnare con note di forma e grossezza differente, poste le une sopra le altre, la nota del dito sfioratile la corda e quelle del suono reale (allorché trattisi di ottenere la decimaquinta acuta di una corda vuota) e la noia del dito appoggiato, quella del dito sfiorante la corda, e quella del suono reale, negli allri casi, servendo così il primo dito di capotasto mobile. Egli è dunque necessario talvolta d’impiegar simultaneamente tre sedili per un solo suono; senza tale precauzione l’esecuzione non sarebbe che un inestricabile labirinto, nel quale l’autore istesso non saprebbe più riconoscersi. In generale i sordini si adoperano molto opportunamente in ispecie nei tempi lenti. Essi non sono di minor effetto, allorché l’indole del pezzo lo comporti, se anche si impieghino nei movimenti rapidi e leggeri o per accompagnamento a ritmo veloce. Gluck ne ha dato un bel saggio nel suo sublime monologo delVAlceste italiana: «Chi mi parla?...» Quando si adoperano è uso farli mettere da tutti gli stromenli da corda; però c’è de’ casi più frequenti di quanto si creda, in cui i sordiui posti ad una sola parte ( per esempio ai primi violini) danno un singolare colorito all’istromentazione colla mistura de’ suoni chiari e de’suoni velati. Ye n’ha altri poi ne’ quali il carattere della melodia è tanto dissomigliante da quello degli accompagnamenti che è d’uopo farne conto nell’uso de’ sordini. Anche il pizzicato è d’uso generale negli stromenti da arco. I suoni prodotti dal pizzicar delle corde danno degli accompagnamenti molto graditi a’ cantanti come quelli che non ne coprono la voce. Servono molto bene anche adoperati come effetti stromentali, insieme coi più vigorosi slanci dell’orchestra, sia nella total massa degli stromenti da corda, sia in alcune parti solamente. Se i pizzicati si adoperano in un forte è necessario, all’uopo di ottenere maggiore sonorità, non scriverli nè troppo alti, nè troppo bassi, per essere troppo esili e secche le voci acutissime e troppo sorde le più basse. Il solo pizzicalo fortissimo della corda più grossa del contrabasso è di ottimo effetto quando sia collocato bene. Prima dello scherzo della sinfonia in do minore di Beetbowen, nessuno erasi provato a scrivere delle frasi


SEGUE NEL SUPPLEMENTO.


Dall’I. R. Stabilimento Nazionale Privilegiato di Calcografia, Copisteria e Tipografia Musicale di GIOVANNI RICORDI.

Contrada degli Omenoni N. 1720.