Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/45

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— 41 — troppo tragico, non congruente al carattere del contadino ch'egli sostiene. Noi non vogliamo darci cura di queste impercettibili particolarità: ma riteniamo che la passione nel suo più grande sfogo si sviluppi eguale dall’uomo infimo sino al grande, perché primo effetto della passione è quello per certo di mettere a nudo il cuore umano, svestendolo di tutto quanto l'educazione può averlo vestito. Se la passione è nobile, il suo sfogo eleverà a grandezza anche l’uomo incolto: se invece la passione è bassa, vedrete l'uomo più superbo e fiero strascinarsi nel fango. Mi sembra, parlando del caso in questione, che l'ira d'un padre possa annoverarsi nella categoria delle passioni maschie e tremende, e che perciò per ben renderla debba essere improntala di qualche cosa di imponente e gigantesco. - La voce del sig. Collini è di buono baritono, bastantemente forte e metallica dal re al re; le note più acute sono men belle ed alquanto gutturali: egli però sa attaccarle con molta facilita, e sa adoperarle con effetto in parecchi punti drammatici. Il suo porgere è sicuro, e disinvolto: lo studio, direbbesi, vi si confonde colla natura: quantunque ritengo che il primo prevalga di molto, e ciò sia detto anzi a tutto elogio di questo artista. I suoi modi e le sue fioriture sono mai sempre eleganti, abbenchè tendano talvolta alquanto al manierismo, e sembrino richiedere con bella grazia sì, ma forzatamente l'applauso. Per esempio, nella affettuosissima romanza del primo atto, la comune (da lui molto prediletta e ripetuta anche in altri pezzi), che ha luogo prima sul verso Soffro e temo in questo di, e la seconda volta sull'altro Che tremar così mi fa, è poco in carattere col sentimento delle parole. Il sig. Collini die ha tutte le qualità per poter innalzarsi al grado di artista-tipo, deve saper sacrificare la soddisfazione d’un applauso di cattivo gusto alla coscienza d'essere vero. Abbandoniamo intanto questa digressione, ed addentriamoci un po' ne’ particolari della composizione musicale, che è veramente la principale nostra partita. Ho già fatti gli elogi della elaboratissima sinfonia, ai quali, voi che non la avete sentita, vi prego di sottoscrivere sulla mia parola. Dopo la lodata romanza del Basso (di cui la prima frase melodica ricorda un'aria della Marescialla, di Nini, aria che Donizetti forse non saprà nemmeno esistere), avvi la sortita del Marchese, che si risolve in stretta dell'introduzione, improntata del fare svelto e gajo dell’autore dell'Elisir. La nuova cavatina di Linda, scritta per la Persiani a Parigi, quantunque in ritmo costantemente uniforme, respira tutta l'eleganza. La Savojarda di Pierotto: Per sua madre andò una figlia, è in quanto a valore musicale estetico il brano capitale dello spartito. La soave e tranquilla melanconia del canto, la novità degli accompagnamenti, quelle lente semitonate nelle note gravi del clarinetto, la melodia cosi nuova e caratteristica, indicano abbastanza quanto amore abbia posto Donizetti nel musicare questa canzone. E ne aveva ben d'onde, poiché è ben essa che imprime al dramma, per cosi dire, il marchio caratteristico. Ell'è questa soave e gemente cantilena che va intercalando l'Addio de' fanciulli, che guida Pierotto a Linda, e che ritorna alla combattuta fanciulla la memoria della madre:, ed è sempre quella medesima canzone, potente talismano, che trascina la povera Linda per un cammino di duecento leghe al casolare natio, e che finalmente unita a un altro canto, ancora più possente, perché quello dell’amore, restituisce la bella innamorata alla ragione. - Però la bella strofa che Pierotto canta di dentro (brano, come già notammo, aggiunto a Parigi e del quale fu anche obbliato di includere i versi nel libretto), e che precede la descritta canzone, essendo composta nello stesso tuono e movimento, toglie a quest ultima alquanto d'effetto, ed imprime fatalmente nell'animo di chi ascolta un senso di monotonia; il che, senza quel canto antecedente, sarebbe certamente evitato. Non so vedere lo scopo dell’aggiunta di quella strofa. La cabaletta del duetto tra i due amanti è tutta amore: lo stacco dal pianissimo al fortissimo nella ripresa dev’essere e fu, ne vien detto, di effetto sensibilissimo in teatro meno vasto. Alla Scala questa nuova idea rimase in parte paralizzata. Nel primo tempo del duetto dei bassi va notato per sentita espressione della parola il solo di Antonio Ah! lo dovrà conoscere. Quanta verità e passione in quel breve tratto! L’andante a tre quarti scade un poco; migliore è la cabaletta per una cotale solennità, che l'imponenza del Prefetto può motivare. Forse son troppo comuni e non di tutto buon gusto quelle note martellale, rese anche poco simultaneamente dai due attuali esecutori, signori Collini e Fedrighini. Essi trovansi troppo lungi l'uno dall’altro per potere accordarsi in un passo non legato da obbligo di misura. La preghiera finale del primo atto è attinta in gran parte ad un pezzo d'assieme del Buondelmonte, opera che poi si fuse in quella più nota di Maria Stuarda, ambe di Donizetti. Questa preghiera intonata dalla sola voce del Prefetto va mano mano arricchendosi, con larghissimo e varialo crescendo, di tutte le altre voci. L ultimo addio che viene intonato dai ragazzi sulle alture, e ai quali risponde tutta la rimanente massa delle voci, è in vero commovente. Questo finale, nuovo nel concetto e nuovo nella forma, rivela ampiamente la mano maestra del compositore, che tant’arte vi ha messo, senza ch'ella opprima e nemmeno apparisca. Nel second’atto, dopo il soavissimo duellino di Linda e Pierotto. avvi quello di Linda ed il Marchese, pezzo eccellente per sé stesso, ma che ha il difetto di staccarsi assai dal colorito rimanente dell’opera; è un duetto che principalmente nel primo tempo rammenta la vecchia scuola buffa: la colpa non è del maestro ma bensì del Marchese introdotto dal poeta. Qui viene un altro piccolo malanno del librettista ed è che Linda, dopo due ore che sta attendendo l'amante, si ritira ne’ suoi appartamenti. Come succede quasi sempre, l’amante giunge in quell’istante medesimo: né ella lo sente, né egli si dà cura di farsi vedere: intanto, in attenzione della bella. l'innamorato Visconte canta un lungo recitativo ed una lunga romanza. Ed eccoci sempre qui con queste convenientissime convenienze artistiche! - Ma Linda, a cui il cuore con un repente battito violento dicea che il Visconte era lì, arriva in iscena e qui ha luogo quel tale duetto del fervido desire tra i due amanti. Sia perché questo pezzo non fu, come già notai, abilmente trattato dal poeta, sia che la troppa abbondanza di duelli nello spartito (non sufficientemente l'uno dall’altro distinti a motivo di poca varietà di forme) generi qualche monotonia, è certo che in tale situazione del dramma si desidererebbe un’impressione più viva. Le scene susseguenti della Maledizione e della Follia sono invece un capolavoro di musica drammatica. Il coro d'introduzione del terzo atto, a cui si tolse un bel tempo di mezzo fugato, racchiude gentili ed accurate idee, massime nel brindisi finale a voci sole. Tiene dietro a questo un duetto tra il Visconte ed il Prefetto che venne omesso per brevità. Ma Linda che credeasi morta, ritorna, folle sì, ma ritorna, ed è sempre una gioja il ripossederla. Ho di già accennato ’ come, mercè la ballata di Pierotto e quella più efficace del Visconte. Linda ricuperi la ragione; come il Visconte se la sposi su due piedi, e come tutto finisca come finisce ogni azione teatrale dove non vi abbiano parte integrante pugnali, veleni e morti, (che il cielo ne scampi!). V’ho già detto tutto questo: ma quello che non posso né potrei mai arrivare a dirvi, si è come il grande maestro abbia trattato tutta questa ultima lunghissima scena. Cominciando da quel sublime ritornello, dove la canzone di Pierotto si riprende tratto tratto, poi si abbandona, si perde, poi si rammenta ancora, e che diventa sempre più languente e straziante, come il ricordarsi del tempo felice nella miseria: a partirsi, dico, da quel pezzo istrumentale fino all’ultima cabaletta, che la Tadolini eseguisce, e che non appartiene allo spartito, ogni frase, anzi ogni nota accusa la penna sovranamente maestra che la tracciò. - Oh! non vi fosse (lasciatemi esclamare anche una volta) non vi fosse là quel benedetto Marchese a rompermi tanta poesia!-Ed a proposito del Marchese, fa d'uopo avvertire che m’era dimenticato di accennare la sua graziosa aria del terz'atto, trattata con novità nell’ultimo tempo. Perciò che riguarda la Tadolini e Collini, ne pare di aver detto più sopra bastantemente. Quella che ne riuscì poi pressoché nuova sotto spoglie virili si fu l’Alboni. Ella superò, per dirla alla foggia giornalistica, sé stessa. Direste scritta per lei la parte di Pierotto. Quella sua voce voluttuosamente lamentosa si presta a perfezione alle cantilene quiete e tristi del giovane savojardo. Il signor Gardoni si presentò di nuovo a noi ricco di sensibili progressi nella scioltezza del porgere, ed in ispecial modo nella scuola del fiato Fedrighini colla sua bella voce non poteva essere meglio collocato: egli fece risaltare tutta l'importanza di questa poggiata parte del Prefetto. Nutro poi speranza che l'egregio signor Rovere non vorrà conservarmi rancore se m'ha trovato tanto in collera con quel signor Marchese. Lo prego a distinguere ch'io l'ho col Marchese del signor Rossi, e non con quello del Donizetti: meno ancora con quello del signor Rovere, di quel Rovere simpaticissimo, uno de’ primi sostegni dell arte comico-cantante del giorno. L esecuzione complessiva fu assai buona, quantunque la messa in iscena sia stata un pochino precipitosa ed immatura. Non ho mai sentito alla Scala a trattare gli accompagnamenti con tanto di leggerezza e di pianissimo come questa volta nella Linda. Per non accennarne altri, ricorderò quel solamente di quelle belle terzine sorvolanti nella frase dei primo duetto A consolarmi affrettisi, accompagnamento affidato prima ai violini poi al clarinetto. Quell’accento