Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1852.djvu/8

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letto di rose, ma un letto di doppie di Spagna su cui si sono adagiali con una voluttà tutta orientale. Il sommo Rossini ebbe oppositori ostinati, critici severi; altri, da lui lontanissimi, non trovarono che ovazioni, apoteosi; se non che, la giustizia del Tempo pone un giorno o l’altro ciascuno al posto che gli si addice. Ma per tornare alle astrusità musicali da cui ci siamo volubilmente allontanali, ci pare che per i maestri, pei giovani in ispecie, elleno sieno dure oltremmodo, rinascenti, ostinale, qualche volta insuperabili. Quando, confidente nel proprio ingegno e nelle proprie forze, un maestro di musica vuol comporre uno spartito, il primo intoppo che gli si para davanti è quello del libretto. Lo troverà senza pagarlo di sua saccoccia? difficilmente; trovatolo a prezzo di buoni danari, sarà musicabile, avrà forti situazioni, si comporrà di versi che non sieno peggiori di una cattiva prosa? più difficilmente ancora. Buono ad ogni modo o cattivo, lo vestirà di note; ne farà udir qualche pezzo, avrà cento consigli, l’uno in senso opposto all’altro; lo ritoccherà una, due, dieci volte, senza accontentare nè i suoi oracoli, nè sè stesso. Ma siccome in tulle le cose bisogna pur riuscire ad una conclusione, cosi, lasciale da un canto le correzioni, penserà a farlo rappresentare per avere il pubblico a giudice della sua opera. Ora, su qual teatro, per mezzo di quale impresario? E dato pure il non facile caso che un appaltatore teatrale abbia ancora un fondo di bontà, un filo di generoso istinto di voler proteggere e incoraggiare un giovane ingegno, che potrebbe fors’anco esser per lui sorgente di qualche guadagno (non foss’altro per quella curiosità che una o due volte almeno popola i teatri) la compagnia di canto sarà adatta all’esecuzione dell’opera? e il sia pure, l’orgoglio, la vanità, l’amor proprio dei cantanti non opporranno osservazioni e commenti, non vorranno cambiamenti, accorciature, aggiunte alle lor parli? Bisogna vedere con quale stupida albagia le parti così dette di cartello trattano un maestro che fa le prime sue armi, e non è un Richelieu! Canteranno esse alle prove, affinchè il timido ed ossequioso compositore possa convincersi che alla sua musica si dia il necessario colorilo? Nemmeno per sogno! Udranno un suo rispettoso consiglio? insomma s’investiranno della terribile posizione di un povero diavolo la cui sorte, la cui esistenza dipendono forse in gran parte dall’esecuzione più o meno esalta, più o men calorosa, più o meno espressiva delle elaborate sue note? Maestri che giaceste, prima che sulle rose o sulle doppie di Spagna, sul letto di Procusle, rispondete per noi. Non è raro il caso in cui alle ostilità dei cantanti si aggiungano quelle dell’orchestra, non vaga per solito di novità che costano studio e fatica. Un maestro senza nome avrà scortesi risposte alle sue osservazioni, sdegnose dimostrazioni alle sue correzioni. Quei maestri maturi che si sono formali una specie di fama transitoria a forza di gravità e di silenzio, si arruoleranno volontarii nel battaglione dell’opposizione non per altro impulso che per quello che ricevono dalla loro inerzia o dalla loro ignoranza. Con questi lusinghieri preludi, con queste amene predisposizioni, il giovane maestro abbandona al mare instabile di Scaramuccia il risultalo de’ suoi primi sudori, l’avvenir suo e forse quello della sua famiglia. Quali angosce, quai palpili pel poverello! Viene la sera della grande prova. 11 pubblico, composto di varii elementi, facile ad esaltarsi, più facile ancora a indispettirsi; trascinato molte volte all’entusiasmo, molt’altre alla disapprovazione dal partito dei maneggioni e dei tumultuanti, si lascia facilmente impor- ■ re l’opinione di pochi; e se questa opinione non si farà manifesta, zittirà per proprio impulso, la prima sera, il Barbiere di Siviglia di Rossini, o farà il dormiglioso e l’indifferente all’aparir della Norma di Bellini e dell’Anna Bolena di Donizetti! Che se per questi maestri di chiarissimo nome non tarderà a sorgere il giorno della riscossa, non accadrà lo stesso di un compositore senza antecedenti, se la sua opera non sarà compresa, se sarà stata male eseguila, se un gallo, traversando il palco scenico, nel più bello dell’esecuzione di un pezzo di valore incontrastabile, avrà distratta l’attenzione dell’uditorio e provocati prolungali scrosci di risa. Nessuna maraviglia che lo spartito del giovane esordiente gli procacci un trionfo, a malgrado della sua mediocrità; nessun stupore che cada, benché meritevole d’encomi e di applausi. Nel primo caso, la gioja di un brillante successo potrà eccitare lo zelo ed infiammare la fantasia del maestro onde cimentarsi a nuove e forse migliori composizioni; nel secondo, il dolore, l’avvilimento non larderanno a isterilire una pianta che aveva dati i primi suoi frutti saporiti e fragranti. Fatela risorgere, rinverdire, fruttificare di nuovo questa pianta avvizzita! Dov’è il cultore da tanto? Libera di leggi restrittive ma oltremmodo ardua ed astrusa è la carriera dei maestri di musica, a meno che essi non sortano con la vita un ingegno distinto, accanto al quale per altro si collochi un genio benefico e protettore che, mutandogli sesso, noi chiameremo Fortuna. Questa Dea volubile e capricciosa che accompagna l’uomo dalla culla alla tomba; che assiste in Londra alla caduta dell’Oberone di Weber e alla morte del grande maestro, che ne fu la conseguenza; che arricchisce autori di cavatine, di romanze e di valzer per lasciar languire nell’inopia uomini invecchiati nello studio dell’arte e scrittori di pezzi classici o frantesi o dimenticati; che esalta talvolta compassionevoli mediocrità per deprimere ingegni generosi ed eletti; questa Dea, diciamo, siede ogni sera negli stalli dei teatri, cieca distributrice di caccabaldole o di sferzale, secondo che prende in simpatia od in uggia i maestri; seduce senza fatica l’ignoranza, e giunge persili qualche volta ad ingannar la sapienza. Maestri, raccomandatevi a questa Dea, non senza però l’intima convinzione di avere assiduamente e profondamente studialo, e di meritare per conseguenza una sorte migliore di quella ch’essa vi prepara. Ultimo guajo pel compositore di musica che fa i primi suoi sperimenti è quello del giornalismo; ma, grazie al cielo, pare che l’esoso monopolio delle iodi sperticale e dei biasimi esagerali vada poco a poco perdendosi, dacché i teatri hanno felicemente cessato d’essere il campo esclusivo sul quale poteva esercitarsi la stampa periodica. P. TEATRI DI MILANO I. R. Teatro alla Scala. L’anno 1852 cominciò sotto i più lieti e fausti auspici per due giovani artisti, la signora Lotti, soprano, ed il sig. Musiani, tenore, i quali per la prima volta fra noi e nel gran teatro alla Scala si offersero al giudizio del nostro pubblico, in un’opera già eseguita sopra le stesse scene da valenti e primari artisti. Dire che sortirono dall’arringo vittoriosi, non è che il vero. Le loro voci sono robuste, belle, pure, argentine; non possiam dire altrettanto della pieghevolezza e agilità; queste mancano loro, ma collo studio le acquisteranno, che le felicitazioni degli amici, gl’incoraggianti applausi e le reiterate chiamate del pubblico non avranno ancora abbagliato i due artisti da credersi già una Malibran ed un Rubini. Il Gorin baritono, nuovo alle nostre scene, non emerse come i compagni suoi, e fu molto al di sotto di essi. La sua voce è muta, non sufficiente per il nostro teatro; il suo modo di cantare a mordenti e gruppetti non ci garba; è nelle nostre abitudini, nel nostro gusto di volere il canto semplice, legato, ed udir ben finita la frase. La sua è corruzione del canto, e noi amiamo il progresso. Il Didot non ci fece dimenticare con la sua voce il Marini, ma il suo portamento e l’intelligenza colla quale interpretò la parte del protagonista ci soddisfecero e piacquero. Noi desideriamo in lui più calore nell’azione e più energia nel canto. La signora Lotti, che ha tanto slancio ed una voce sì prepotente ed estesa, perchè nella cavatina di sortita ommise alla parola indefinito la scala discendente di un effetto grandissimo e che trascina sempre il pubblico all’applauso?... Perchè alla fine dell’adagio della cavatina stessa cambiò la cadenza, con altra di cattivo gusto e di nessun effetto, basata anche sopra certe note che non sono le sue migliori, che le resero freddo il pubblico e le tolsero l’applauso?.. Oh! Verdi conosce l’effetto, eminentemente il conosce, e pubblico ed artisti lo sanno; chè il primo n’ebbe diletto, e gli altri vantaggio! La signora Lotti avrà più applausi se ristabilirà la cavatina nella sua integrità. Le diremo ancora di non sforzare troppo le note basse che riescono stonate e disgradevoli, come pure vorremmo che dal mi sopra le righe, che non le riesce mai di giusta intonazione, ma calante, e discendendo a tutte le altre note della scala procurasse d’intonarle di più, poiché partendo dalla stessa nota e montando per gradi, la sua voce è intonatissima. Noi le abbiam fatte osservare queste mende, affinchè collo studio essa possa riescire una cantatrice perfetta, chè ne ha tutte le naturali disposizioni ed i mezzi. Perchè il signor Musiani con una voce d’un’estensione così rara e più che bastante al vasto teatro della Scala, ci ha abbassata la sua cavatina e la romanza di una mezza voce?... Quasi vorremmo azzardarci a dirne il perchè, e lo diciamo: fu per farci udire in alcune puntatore

 dei si bemolli vigorosi c pieni, e che noi

gli diremo di aver trovati assai belli. Ma badi però all’intonazione, chè non fu sempre giusta e precisa. Forse il timore d’una prima rappresentazione ne fu la causa, ma noi temiamo sia in lui un difetto organico. Del signor Gorin abbiamo fatto cenno più sopra. Ameremmo che alle parole, L’orbe intero Ezio in tua man vuol dar, cantasse più grandiosamente, non introducendovi gruppetti; e così anche nella sua aria alle parole, Dagl’immortali culmini, facesse alla seconda battuta la terzina scritta, non un gruppetto. Lo ripetiamo: questa è corruzione del canto, e noi amiamo il

 progresso.

11 signor Didot ci cantò nella sua integrità la parte del protagonista; ei disse la cabaletta del duetto, Vanitosi, l’adagio dell’aria sua, e molti altri brani con talento e bravura distinta. I cori non intonarono sempre, e nell’orchestra abbiamo rimarcata una cosa che ci fece male all’orecchio; fu alle prime battute dell’introduzione, ove trombe e tromboni ascendendo cromaticamente le une dopo gli altri prolungano le note più del loro valore, cosicché fra loro confondendosi ed urtandosi producono un effetto dei più disgustosi e disaggradevoli. Le scene sono belle e di effetto. Quella della laguna si distingue dall’altre, ma la luce era troppa nel momento della tempesta, e poca quando comincia il crepuscolo del mattino ed al levar del sole. Il vestiario è tutto nuovo, ricco e/ben disegnato. Se si rappresentò con tanta ricchezza di scene ed abili l’Attila, di cui parlammo, perchè non si fece altrettanto della Miller?... E son pur figlie tutte e due dello stesso padre! - La Miller con