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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 143 affatto personale, tocca l’individuo e non l’artista, nè il musicista; e l’essere vero o falso non ha valore di sorta pella critica e pella storia musicale. Nè, anche volendo, potremmo in cosa di semplice curiosità perdere tempo ad accertarci se i periodici che ce la danno non ei inducano o non siano stati essi stessi indotti in errore.


Poesia di A. MAFFEI, Musica di G-. PALLONI La Gazzetta del Popolo di Firenze parla nei seguenti termini di questa bella composizione del maestro Palloni: Lettore, hai mai’ veduto tre arti sorelle andare a braccetto insieme per una medesima strada, si che le bellezze dell’una si riverberino e si confondano con le bellezze dell’altre? Prendi una delle ultime pubblicazioni del Ricordi Due anime, e nella prima pagina troverai un disegno, nella seconda una poesia, nella terza una romanza. Il disegno del Ciseri, e rappresenta due anime pellegrine che s’incontrano in cielo e amorosamente si abbracciano. La poesia è del Maffei, e racconta in mirabili versi una scena paradisiaca. La musica è del Palloni, ed è fedele interprete del gentile concetto che ispirò pittore e poeta. Un’anima pargoletta sale dalla terra in cielo, perchè la morte crudele la separò dall’amabile consorzio del padre e della madre- Salendo nelle sfere celesti s’incontra in un’anima sorella che l’abbraccia e la bacia, lieta di vederla ritornare all’antico suo albergo. Ma sul viso a lei che gustò le gioie terrene brilla mesta una lacrima, e alle inchieste premurose della sorella, la derelitta risponde che quella lacrima cadde dagli occhi della madre infelice, quando la baciò per l’ultima volta in terra; perchè in terra s’hanno dolori e spasimi che le immortali abitatrici del cielo non conoscono. Commossa al pietoso racconto, l’anima giovanotta rivolge una preghiera a Dio, e ‘gli domanda d’andare in terra a consolare il dolore di quella madre disperata. Esaudito il prego, l’anima scende in terra e si veste delle membra gentili d’una bambina, vero angioletto terrestre a cui il poeta fa dire l’affettuosa romanza. Il connubio di quelle tre arti, pittura, poesia e musica, non potrebbe essere più felicemente riuscito. Si vedono nel disegno espressi i sentimenti di mestizia, di gioia, d’infinito desio che spìnge l’una verso l’altra le due anime. Si sente nella poesia tutta la grazia, l’elegante perfezione e la soavità del poeta che domanda al cuore l’ispirazione. E nella musica è felicemente traciotta, con la limpidezza della melodia, la leggiadra originalità del concetto, Faccio invito alle mie lettrici, a cui non è straniera la musica, di provarsi a cantare questa romanza gentile. Le compenserà di tanta musica vuota e pretenziosa che non merita neppure l’onore d’una superficiale lettura. Sabato, 27 aprile. Le sorti elei Politeama sono assicurate; dopo il successo delV Aroldo e della Semiramide, quell’impresa può contare il successo del Ballo in maschera, e così la terna è perfettissima. È inutile spendere parole a dire che l’esecuzione del Ballo in maschera. è obbediente alle leggi di simmetria e rassomigli molto alle compagne che la precedettero. La trascuranza e la fiacchezza dei pezzi d’insieme è malattia ereditaria degli spettacoli del Politeama e finché il pubblico se ne appaga’, ed interviene numeroso, e per non privarsi delle beatitudini di quel tempio dell’arte, sa sfidare anche gli uragani, non è certo l’impresa che si adatterà a sacrificare e far sacrificare il comodo sistema estemporaneo che governa quel teatro. Per debito di giustizia devo dire però che nel Ballo in maschera l’insufficienza di prove era un po’ meno visibile che nella Semiramide e i pezzi concertati un po’ meno sconcertati di quelli dell’Aroldo, e, cosa insolita, i cori fecero bene il loro dovere. Parlo della prima rappresentazione, chè della prima io ne ho avuto di troppo, e i cronisti mi hanno informato che le successive sono andate assai meglio. In quanto agli artisti principali, tolto il Viganotti, che anche in quest’opera è eccellente, gli altri sono poco più che mediocri. La signora Pollaci (Amelia) è un’esordiente, che ha voce gradevole, aspetto gentile, e buon metodo di canto; le nuoce però molto l’impaccio e la paura; la signora Garbato, artista di merito riconosciuto, ha fatto male ad accettare la parte d’indovina, che si direbbe scritta per mettere in evidenza i difetti della sua voce, altrettanto robusta e squillante nelle note acute, quanto fioca ed ingrata nelle basse. Il tenore Tagliazucchi pose nella sua parte molto buon volere, cantò bene la barcarola, Di tu se fedele, ed ebbe qualche buon momento nel resto dell’opera. Bene quasi sempre l’orchestra, diretta dal bravo maestro Baur. La compagnia francese che recita al Re (vecchio) ha dato una nuova operetta dell’inevitabile Offenbach. S’intitola Le Pont des soupirs e la scena avviene in Venezia. Ci è un Cornarino Cornarmi ammiraglio che è fuggito dinanzi all’inimico, ritorna trasvestito in patria e trova la moglie in stretti rapporti con un paggio Amoroso e assediata dalle seduzioni di Fabiano Fabiani Malatromba. Costui è un patrizio potentissimo che fa rapire la bella ritrosa, obbliga il marito incognito a tenergli mano, e il consiglio dei dieci a nominarlo Doge. Ma il mistero dell’ammiraglio è svelato, e il povero Cornarino Cornarmi è condannato a morte. Gli viene presentata la minuta dei supplizi! perchè scelga, e sceglie l’impiccamento, dopo di aver protestato inutilmente che egli non ha appetito di simili vivande. Ma al momento dell’esecuzione si scopre che Cornarino Cornarmi invece d’un vile era stato semplicemente un eroe, si sospende l’esecuzione, gli si ridona la moglie col relativo paggio e cala il sipario. L’argomento come si vede è insulso; ma vi sono alcune amene situazioni, alcuni scherzi ben riusciti, alcune stravaganze di buon gusto, e si ha spesso occasione di ridere. In fondo non so bene se si rida più della repubblica veneta ^parodiata, o dei lazzi degli autori ed attori francesi, ma si ride, e non si può dire che Le IJont des soupirs abbia fatto fiasco. Il motivo più grazioso della musica è la serenata del primo atto; il resto è mediocre quando non è mediocrissimo. Più gradita di questa novità riuscì la ripresa della Perichole colla signora Matz - Ferrare. L’inimitabile artista fu accolta con vivi applausi e giustificò le accoglienze con un’esecuzione piena di moine garbate; essa ha l’abilità d’ingentilire le cose più scurrili, e dove altri non trova che il grottesco o l’osceno essa riesce ancora ad afferrare un lembo, l’estremo lembo dell’arte. Avvenimenti musicali di somma importanza furono i due concerti sinfonici della Società del Quartetto col concorso del celebre violoncellista Piatti. Il Piatti è Bergamasco, ed allievo del Conservatorio Milanese; la sua fama è però tutta o in gran parte straniera, e noi da gran tempo non ne udivamo che l’eco perchè erano 8 anni che egli non si era fatto udire in Milano. Questa volta sbalordì; meravigliosa vigoria, agilità, espressione, canto puro, egli ha tutte le doti del violoncellista perfetto. Nella Sonata VI di Boccherini e nella Litania di Schubert fu una rivelazione.