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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 145 di seguito al teatro Italiano, fatto assai raro, sopratutto in questa stagione musicale, che vede cambiare il cartello quasi ad ogni rappresentazione. Nè ciò è bastato: si annunziano altre rappresentazioni per la prossima settimana. Son sicuro che se il nuovo direttore del teatro Italiano avesse preveduto questo successo, avrebbe potuto aprire il teatro, con una compagnia composta dei soli cantanti che figurano nel Matrimonio segreto, e dare quest’opera durante tutta la stagione; trenta, quaranta volte di seguito, più ancora, volendo. Il pubblico si sarebbe sempre rinnovellato, e tutta Parigi sarebbe corsa alla sala Ventadour. È precisamente come i montoni di Panurgo, che discendevano dalle famose pecorelle di Dante: E quel che l’una fa, e l’altre fanno. Andate loro a domandare il perchè. Vi diranno che non possono esimersi di assistere ad una rappresentazione alla quale tutti corrono. - E il perchè non sanno; o almeno non ne sanno altro. Per esempio, tutti son d’accordo nel dire che l’opera fantastica (féerie} intitolata il Re Carota è una scempiaggine, messa in scena con gran lusso; e tutti corrono a vederla. Perchè? Risponderanno: - Tutti ei vanno, ei andrò anch’io. Ed ecco il segreto delle cento e dugento rappresentazioni che conta sovente un’opera che altrove non ne avrebbe avuto che una ventina al più. Lasciamoli dunque andare in estasi col Matrimonio segreto, quantunque la bella musica di Cimarosa sia eseguita in modo assai mediocre e domandiamo al direttore perchè si affatica tanto a mettere in iscena altre opere. Ieri, per esempio, ha dato, la Linda di Chamouniæ per far esordire una tal Marchetti; domani darà la Norma per far esordire una tal Floriani. Incognita quella, non meno sconosciuta questa. Da qualche tempo vediamo sorgere non si sa dove una coorte di cantatrici che avendo ottenuto qualche plauso nei salotti, si credono da tanto da poter cantare in teatro, ed in qual teatro? agl’Italiani, ove non dovrebbero essere ammessi che cantanti di gran merito. Esse fanno anche sacrificii pecuniari per essere ammesse, non dico già nel numero delle cantanti scritturate, ma in quello delle artiste che cantano una sola sera, due tutt’al più. Al bisogno, pagherebbero il fitto della sala, le spese serali, ecc. E ciò per aver la magra soddisfazione di poter mettere sulle loro carte di visita sotto il nome la seguente qualificazione première artiste du Théâtre Italien à Paris. Mi si scrisse un giorno da una città di provincia per domandarmi che cosa pensassi d’un grande artista ch’era là, e che dava lezioni di canto. Risposi che noi conosceva neppure di nome. Sorpresa del mio corrispondente. Com’è che non conoscessi un cantante del Teatro Italiano, un primo tenore! Informazioni prese, seppi che l’artista in questione aveva cantato due sere la parte dello sposo nella Lucia, non quella d’Edgardo, beninteso l’altra. Ciò gli bastava per dargli il diritto di mettere sulle sue carte - ténor du Théâtre Italien. Non so se aveva avuto la tracotanza d’aggiungere -premier ténor. La Marchetti dunque, che, a quanto mi si dice, ha fatto dei sacrificii per cantar la parte di Linda, poteva ben risparmiarseli, e sopratutto risparmiarci la pena di dover parlare del suo poco felice successo. E notate che dicendo «poco felice» obbedisco alle regole della più delicata convenienza, che bisogna serbare col sesso gentile. Se fosse questione d’un baritono o di un basso sarei meno scrupoloso. Non so chi sia questa signora Floriani, che deve esordire giovedì prossimo nella Traviata, ma temo forte che non abbiamo a sopportare una seconda edizione del début di ieri. Il nome stesso che è annunziato sull’affisso dev’essere un pseudonimo. La precauzione non è inutile. Se l’esordiente piace, se è applaudita sarà sua cura di smascherarsi, e di far dire l’indomani da tutti i giornali qual’è il vero nome dell’artista che, per modestia o per ragioni di famiglia, si è nascosta sotto il pseudonimo assai eufonico di Floriani. Se ha la stessa sorte della Marchetti, o presso a poco, si ritira in buon ordine, e nessuno ne parla più. — Quante e quante ve ne ha, che imparano una sola opera, la studiamo più mesi con qualche professore di canto, che pagano più del dovere, e poi si presentano al pubblico del Teatro Italiano, ove i fischi sono ignoti. Se l’artista è al disotto del mediocre, o peggio, si ride, ecco tutto. E si è riso molto iersera alla rappresentazione della Linda. Il direttore del teatro, Amedeo Verger, fece scritturare (in qualità di agente teatrale) or son sei o sette anni, la Marchetti per Caracas. Di là essa andò al Perù, alla Piata, in California, ecc. Le orecchie degli Americani del Sud non se ne trovarono male. Questione di latitudine. Le orecchie francesi (ed anche le italiane, perchè ve n’erano molte al Teatro) non vi hanno trovato lo stesso piacere. Quistione di gusto. La voce esile ed agretta dell’esordiente ha ottenuto un successo d’allegria comunicativa. Tutto ciò è veramente fastidioso. Il Verger non si accorge che guasta completamente i suoi negozi, perdendo la fiducia del pubblico. Come farà ad aprire di nuovo il teatro nel prossimo autunno, se continua ad ispirare la diffidenza? Andate a parlargli di qualche buona cantante, libera e che ha voce e merito, farà il sordo. E poi farà esordire delle artiste che non sarebbero tollerate ad un teatrino di provincia! Povero teatro italiano! Come è andato giù e come minaccia di andar più giù ancora!.... Ma che farci!... Costà si fischierebbe e si farebbe calar la tela prima di finir lo spettacolo. Qui si ride, ed il direttore fa le orecchie di mercante, e, tristo a dire, ricomincia il domani. Se andiamo di questo passo, non sarà più il direttore che pagherà gli artisti; ma viceversa; quelli o quelle che non hanno potuto mai trovare una scrittura, offriranno di cantar gratis, o pagheranno le spese serali e canteranno. Che bella prospettiva per coloro che amano la musica italiana e che erano assuefatti a udirla ben eseguita al teatro Italiano! Questa sera all’Opéra-Comique ha luogo una rappresentazione a beneficio del cantante Chollet, il quale si ^produrrà in un duetto con la signorina Ducasse. Perchè soltanto in un duetto? mi domanderete. Perchè un semplice duetto è anche troppo per un artista che, essendo nato il 20 maggio 1798, conterà tra quattro settimane la bagattella di 74 anni. Cominciò la carriera da corista all’Opéra nel 1815. Entrò all’Opéra Comique nel 1826. Hérold scrisse per lui Zampa, Auber gli affidò la prima parte nella Fidanzala e nel Fra Diavolo, Adam quella del Postiglione di Lonjumeau, che fu il suo cavallo di battaglia. Lasciò, il teatro nel 1840; vi fe’ritorno nel 1854; ma con poco successo; persuadendosi che a 56 anni la voce non è della prima freschezza, si ritirò definitivamente. Questa sera canterà ancora, e sarà applaudito, ma per l’ultima volta. E l’addio supremo che dà alla scena ed al pubblico che l’amò tanto. Si consolerà suonando il violino, giacché è abilissimo suonatore, e se la voce è un po’ tremula, la mano è ancora ferma e nel suo cuore ferve tuttora l’amore inestinguibile dell’arte. Chiuderò questa lettera col dirvi che il successo dellMAùz a Parma è giunto fin qui e che molti giornali hanno riprodotto il telegramma che annunzia questo terzo trionfo dell’opera di Verdi; il Cairo, Milano, Parma, l’hanno applaudita. Quando potrà farlo Parigi? — Quando VOpéra avrà artisti che potranno cantarla. L L Bei’lino, 11 aprile. La settimana santa ei ricondusse una serie infinita di musiche sacre, fra le quali come un fantasma inevitabile, il centenario, La morie di Gesù di Ew. Liebden Graun, di cui non vi parlerò più per paura di promuovervi lo sbadiglio. E davvero inesplicabile l’ostinazione di parecchie società musicali, che eseguiscono ogni anno questo noioso spartito poverissimo di vero sentimento. Un altro musicista de’ nostri giorni, di nome Ueberlée, disse a sè stesso: perchè non potrò aver aneli’ io il piacere, imitando la morte di Gesù, di veder eseguito annualmente un oratorio mio? e scrisse Le parole di Dio, parole più noiose ancora della morte; è un lavoro che non saprei attribuire degnamente ad altri fuorché ad un insignificante al