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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 155 I compositori milanesi, quasi sperassero la rifusione con interesse delle loro spese postali, par che siano venuti in massa colle loro composizioni, che forse nemmeno saranno lette, a concorrere per gli onori di rappresentazione nel Royal Albert Hall. Poveri delusi! u. Vienna, 24 aprile. Ho tardato fin oggi a riferirvi della campagna musicale che l’impresario Merelli venne a sostenere tra noi colla sua brigata di artisti e di opere italiane, perchè voleva vederne tutto il successo e riassumerne poi l’effetto prodotto sul nostro pubblico. Stimai essere codesto il meglio che potevo fare, e ciò meno ad onore degli artisti, che in argomento d’ammirazione per l’arte italiana. Se fossi in vena di poetare, canterei l’ardita impresa e le gesta mirabili di que’ novelli cavalieri erranti che s’attendarono durante la fiorente primavera sulle rive della nostra Wieden ed a parecchie riprese, in nobili certami, conquistarono all’arte italiana trofei novelli. Su questo metro finirei coll’immergermi negl’imbratti dell’adulazione ed il mio carme andrebbe ad ingrossare il numero di quelli che già furono spietatamente immolati all’oblio. La mia ambizione mi fa desiderare un esito più soddisfacente, ed è perciò che senza abbandonarmi al lirismo dell’apoteosi, farò di tenermi pedestre a quelle osservazioni generali che l’esecuzione di musica italiana ha occasionato tra noi. Mitigatomi a temperanza, non potrò neppur seguire ad una ad una le serate alle quali per dovere di mio ufficio come vostro relatore ho assistito; l’enumerazione stancherebbe e la ripetizione dell’elogio mi tornerebbe inevitabile. Alle corte, so a chi riferisco e sarà mia la cura di non abusare nè del vostro spazio nè della vostra benevolenza. Mi rallegra anzitutto poter confermare il fatto, che il nostro pubblicò si mostrò oltre ogni credere lietissimo di far oneste e belle accoglienze all’opera italiana. A dirvi il vero io ne temevo, per la sola ragione che a questi lumi di luna, con tante preoccupazioni in aria, coi rovesci subiti alla borsa, la bella mercè delle prodigiose forme di fondazioni novelle, c’era da metter pegno che l’opera italiana sarebbe rimasta deserta per parte di coloro, i quali imprimono l’impulso alle abitudini pubbliche della giornata. Godo assai che la mia preoccupazione sia stata senza fondamento- Dimenticato fu il ribasso dei valori, posto fu in non cale l’arrabattarsi delle politiche fazioni, furono relegati in un angolo remoto della memoria e i Carlisti e l’Alabama e quasi alcun punto nero non minacciasse rovinio nè dal Levante nè dal Ponente, i nostri viennesi e gli ospiti nostri accorsero in folla straordinaria al teatro suburbano per bearsi alle soavi delizie della musica italiana, ed attingervi ispirazione ai compiti diversi delle loro occupazioni. Affé ch’ei sarebbe uno studio di non lieve psicologico momento l’indagare quanta parte ebbe il Barbiere di Siviglia nella compilazione d’una nota diplomatica del ministro Andrassy; quanta intonazione in una risposta dell’ambasciatore Banneville, portata seco colla.reminiscenza di quell’0 Dio morir sì giovane, e quanta influenza ebbe esercitata la canzone del Savojardo nella Linda sopra le operazioni fatte dal vostro generale conte Robillant a proposito dell’intempestivo discorso del signor De Schmerling alla Camera dei Signori. Non c’è neanche a dubitare che il ministro dell’impero germanico signor De Schweinitz, udita la Norma, avrà sentito ribollirsi il sangue contro l’infedele latino, e guai alla Francia se in quella disposizione d’animo ei fosse stato richiesto d’un parere. Io conosco un giovine studente di matematica, a cui il Don Pasquale rese per qualche dì amenissime l’equazioni più ingnillite; e so di un altro, seguace d’Esculapio, la cui lingua dopo il Rigoletto, divenne ben più pronta e baldanzosa ai vanti che prima noi fosse stata mai. In una parola, la diplomazia e la scienza, l’economia domestica e l’industria, l’opificio e la scuola, la cancelleria e la bettola subirono per qualche settimana almeno l’imperioso ascendente della musica italiana e la sua efficacia si tradusse in quei tanti piacevoli o concitati parlari che di questi giorni si fecero tra noi in ogni ordine di persone. Per la stampa poi l’opera italiana fu un vero avvenimento. Dai giornali più serii ed autorevoli fino ai minuscoli e faceti, l’opera italiana ebbe l’onore di apposite elucubrazioni esteticofilosofiche e lepido-umoristiche a josa. I critici più eruditi per i quali la storia e la statistica della musica sono affare di scienza come sarebbe il cadavere per l’anatomo, o le combinazioni aritmetiche e le linee per il matematico di professione, acuminarono le loro disquisizioni e riandarono i loro prontuari per ripetere quanto di più lusinghiero fu detto già del Bellini e del Donizetti, del Rossini e del Verdi, ed ammanirono delle appendici che al postutto suonano gloria ed onore dell’arte italiana e de* suoi maestri. Fu anzi un esimio professore di critica musicale, che, lasciatosi andare all’ammirazione incondizionata e quasi lirica, dimenticò che anni addietro non era stato dello stesso avviso, sopratutto noi fu quando trattavasi di far propaganda per il nuovo maestro della musica tedesca, La stampa minuta che da noi è il più sguaiato figuro nel più sguaiato e provocante degli atteggiamenti possibili, si acconciò al coro dei plaudenti come meglio le tornava e non potendo far peggio applicò dei manrovesci all’impresario che tenne i prezzi d’ingresso all’altezza degli acutissimi trilli. Per conto mio, mando il mi rallegro all’Italia, la quale, malgrado i tentativi della scuola moderna, sa conservare lo splendore intemerato e puro della sua arte e costringere anche i meno proclivi a tributarle l’omaggio dell’ammirazione e della fede. Questa volta ella ei mandò anche un’eletta de’ suoi, che valsero a meritarle pienamente l’onore della vittoria. Dopo nove anni d’assenza noi abbiamo riveduta e riammirata l’Adelina Patti, che ei apparve tanto più fenomenale nelle sue prerogative, quanto più rara è l’occasione d’abbatterci in artisti di cotai levatura. Ella rimase fedele a sè medesima, fedele alla sua vocazione, fedele al progresso de’ suoi studi. Gli elogi sperticati che le prodigò l’Europa fin dal suo primo apparire nel mondo teatrale, non l’abbagliarono; ella non si tenne per l’infallibile Diva, proclamata da chi la comprese come altresì da chi il faceva per vaghezza d’imitazione; ella studiò trionfando, e noi che non l’avevamo nè veduta nè sentita da tanfo tempo, siamo al caso di valutare la perfezione artistica, alla quale la condussero i suoi studii e le doti naturali onde fu privilegiata. Il suo successo fu completo; ella ei fece sostenere con coraggio e l’afa tropicale del teatro zeppo di spettatori e le grida stridule e tumultuose degli applausi fremebondi e i prezzi crudelissimi dell’entrata. Il magistero della sua esecuzione, sia dal lato drammatico, sia dal lato musicale rivela in lei un amore passionato all’arte che professa, amore ch’ella inimitabilmente sa inspirare ne’ suoi uditori. Cresciuta fra la pratica incessante della scena, ella ne acquistò pieno possesso e mentre noi l’ammirammo già per il suo vigore, per il suo brio, per il timbro potentissimo della sua voce, questa volta ei siamo stati presi eziandio all’arte mirabile del suo gesto e delle sue pose che s’accoppiano in modo straordinariamente bello al suo canto. Sia che la si senta cantare l’idillio della Linda ed il sentimento della Sonnambula, sia che i traviamenti d’una perduta o i furori d’una nordica sacerdotessa le invadano l’anima, l’effetto affascinante ch’ella crea è irresistibile. Dove poi la si ammira nel suo vero elemento, dove l’ingegno di quest’artista spiega tutta la sua pienezza è appunto nelle grazie della sua Rosina. Una spigliatezza che somigli la sua, un’interpretazione che accresca il pregio insito all’oggetto interpretato e lo avvicini alla comune intelligenza per farlo meglio sentire in tutte le sue più recondite bellezze, è un dono ed è un progresso ad un tempo, che ei porgono una creazione novella colà dove noi ei aspettavamo il risveglio d’una sbiadita memoria. Quanta freschezza nella sua Calesera! Quanta gentile gaiezza nel suo bolero tolto ai Vespri siciliani ed intarsiato nella lezione di canto del Barbiere! Il Rigoletto, la Lucia, la Linda, la Traviata, furono veri trionfi per l’Adelina Patti a Vienna, la miglior parte della cui popolazione serberà gratissima ricordanza delle soavi emozioni e dei più puri diletti, provati la bella mercè della celebrata e festeggiatissima artista. Mi sono proposto di non eccedere in adulazione; se continuo di questa intonazione, corro pericolo di non tener fede al mio proponimento. Finisco dicendo che la beneficiata della Patti fu un’ovazione continua. Della compagnia condottaci dal Merelli rileveremo ancora il baritono Graziani che va considerato a giusto titolo come uno dei più valenti baritoni della giornata; voce e scuola, azione e nobiltà gli procurano tanta onoranza. Al tenore Nicolini supplì il Corsi; inadeguatamente; però non cosi da portar detrimento all’assieme. Il Moriani è artista di vaglia. Degli altri vi faccio grazia, non perchè abbiano demeritato, cibò! ma perchè a petto all’astro del giorno impallidiscono le minori stelle. L’Arditi fece l’impossibile: disciplinò e plasmò un’orchestra che avrebbe fatto disperare artisti meno abili di lui. In somma campagna egregia, il Merelli ritornerà. F Per abbondanza di materia rimandiamo al prossimo numero una corrispondenza di Berlino ed un’altra di Londra giunteci in ritardo. MILANO. Riuscì assai bene la rappresentazione dei bambini dell1 Istituto Vittorino da Feltro al teatro Fiando. 1 piccoli artisti, e il loro maestro, l’infaticabile Varisco, vi ebbero applausi in gran copia. BOLOGNA. Al teatro Brunetti ebbe esito lietissimo Y Elisir d’amore di Donizetti, interpreti i coniugi Paoletti che furono applauditissimi. Appena mediocri gli altri esecutori.