Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/213

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OGNI DOMENICA IL FAUST DI GOETHE E LE SUE TRADUZIONI MUSICALI VI. IL MEFÌSTOFELE DI ARRIGO BOITO ’ CONCLUSIONE. Sebbene il successo non abbia coronato la prova del giovine autore, il suo doppio ardimento di poeta e di compositore impressionò tanto vivamente il pubblico italiano e lo tenne così lungamente occupato, che non ei è possibile invocare la sua amicizia e la sua qualità di collaboratore della nostra Gazzetta, per farne pretesto al silenzio. Nè il silenzio sarebbe ingiusto verso l’autore soltanto, il quale ha mostrato, nella parte poetica del suo lavoro e in molti punti della parte musicale, d’intendere meglio di chicchessia la concezione profonda di Goethe, ma sarebbe anche un’infedeltà verso il nostro argomento e verso i lettori ai quali abbiamo promesso di dire brevemente di tutti i compositori che, a nostra notizia, attinsero l’ispirazione all’immortale poema alemanno. Non presentiamo a chi legge Arrigo Boito; tutti lo conoscono; chi non l’ha visto di persona, l’ha visto ne’ suoi scritti, chi non ha indagato il suo pensiero nei bagliori delle sue strofe indocili e nei suoi raccontini fantastici, lo ha indovinato nelle linee del suo volto. Noi non vedemmo mai in alcuna persona i caratteri dell’ingegno così fedelmente sposati ai caratteri del corpo. L’involucro ha preso tutte le angolosità del contenuto, fìnge di coprirle e le rivela; è un insieme di caratteri fìosognomici che farebbe l’entusiasmo o la disperazione di Lawater; non sappiamo se piuttosto l’uno che l’altra. Questa interezza della sua natura spirituale e corporea (facciamo i nostri comodi filosofici e accettiamo la distinzione) ne fa una specie di creatura doppia; egli è tutto nei suoi scritti, egli è tutto nelle sue forme. Ma lasciamo la forma paradossale così cara all’autore del Mefìstofele e veniamo al Mefìstofele. Questo titolo stesso che egli pose al suo lavoro ei. dà la chiave del suo ingegno. Può parere sulle prime che il solo amore di distinguersi dai compositori che lo precedettero nell’ardua fatica, o il desiderio di non far parere le sue intenzioni come una sfida aperta e diretta d’ogni confronto, abbiano consigliato il nuovo battesimo. Noi non pensiamo a questa maniera. Boito ha troppa audacia per venir meno all’idea di un confronto, e sapeva di aver osato troppo più di tutti quanti lo precedettero nel cimento, per sentire il bisogno di assicurarsi un’originalità a così buon mercato. Ma nella potente creazione di Goethe, l’occhio del poeta è penetrato bensì fino in fondo, ma si è per elezione fissato più attento alla faccia sinistramente misteriosa del multiforme problema. Faust dubita,, ma soffre; Faust dubita, ma ama, — perchè Faust è un uomo; Mefìstofele dubita, e ghigna, e beffa, e deride Famore e l’umanità e l’eterno — non è l’uomo, è il dubbio stesso. La natura fantastica dell’ingegno di Boito fu trattenuta da questo fascino — e il suo poema s’intitolò Mefìstofele. Ho detto il suo poema; sì, perchè dove altri si accontentò d’un libretto egli volle invece un poema — un poema bizzarro, sprezzante di regole, insofferente di ostacoli di tempo e di luogo, un poema che apparisce in sè stesso scucito e sconnesso, ma un poema tuttavia, se per poema intendiamo un vasto quadro a linee gigantesche, a pennellate grandiose, destinato ad essere guardato in distanza coll’occhio sintetico del filosofo. Certo molti che ebbero fra mani il libretto di Boito, non ei si raccapezzarono gran fatto e finirono forse col confessare a sè stessi di non averne capito nulla; ma costoro avevano in mano un libretto, peggio, il peggior libretto che sia uscito dai telai di cavatine, di duetti e di finali concertati. Ma per chi ha letto le due parti del poema di Goethe e si è provato a chiudere gli occhi e a ricostruire nella mente l’edilìzio del grande alemanno, ed ha potuto abbracciarne per un istante le linee, e sentirlo saldo sulle fondamenta, quel libretto è un lavoro d’arte, è la condensazione, non indegna dei lambicchi di Faust, d’una creazione gigantesca. E poi nella mente del Boito libretto e musica dovevano formare un solo tutto, l’armonia doveva riempire le lacune del verso., sopprimere gl’intervalli, legare i tempi, i luoghi, le passioni, e se la vena del compositore fu in