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208 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO quest’opera titanica costretta a manifestarsi molte volte impotente, l’audacia sola dell’intento basta a giustificarlo. Non intendiamo far l’analisi della tessitura, delle bellezze e dei difetti di questo strano melodramma; fu a suo tempo fatto molto acutamente e con qualche diffusione nelle pagine della nostra stessa Gazzetta; basti a darne in qualche modo un’idea il dire che Boito. volle fuse in una le due parti del Faust. Il compositore ebbe così due protagoniste: Margherita ed Elena, la poesia del cuore e la poesia della bellezza estetica; poteva cantare due affetti^ l’uno più che terreno, l’altro poco men celeste. Ma non lo fece assai di buona voglia, nè in versi nè in note; al contrario si compiacque di insistere in tutte le situazioni immaginose, accarezzò i fantasmi più impalpabili; angeli, fuochi fatui, folletti, sirene, serafini., streghe sono i veri protagonisti del suo lavoro, in cui abbondano le intenzioni descrittive. Gli è appunto che, forse per lunga viziatura, è così fatta l’impronta del suo ingegno che mentre si acconcia mirabilmente alle creazioni fantastiche, e sa dar contorni puri alle più matte eccentricità, si ribella agli affetti. Tutte le sue scritture presentano un concetto vero e una veste fantastica; poeta, narratore, musicista, ma pHma di tutto sè stesso; quest’originalità estrema è qualche volta a danno dell’evidenza; le immagini e gli affetti perdono di efficacia e Hi naturalezza non trovandosi mai essere nemmeno per caso le immagini e gli affetti di chi legge. Egli dimentica che il segreto dei trionfi più sicuri non è l’abbagliare., ma il convincere, non è il commuovere, ma l’intenerire, — è il far ritrovare al lettore o all’uditore parte di sè stesso nelle cose che legge o che ascolta. Questa dote manca quasi sempre al Boito; i suoi personaggi sono sempre creature che hanno idee molto bizzarre nel cervello, e affetti molto prepotenti nel cuore, e modi di manifestazione che rasentano lo stravagante quando non ei si tuffano dentro addirittura. Egli non fa parlare l’amore, ma si accontenta di farlo sognare; lo si direbbe sordo al sentimento per non ascoltare che il presentimento, insensibile alla luce del sole per inseguire il raggio fuggitivo d’una stella che si perde nello spazio. Così è nel Mefistofele; l’amore di Margherita è un breve episodio al confronto delle grandi scene descrittive, l’idillio d’Elena un bagliore. Musicalmente queste parti contengono per altro le maggiori bellezze, e ciò proverebbe forse che questa tendenza del suo talento non è in gran parte se non effetto dell’educazione intellettuale. Del resto grandi e vere bellezze si trovano pure in molte parti dell’opera. Però se fu accolto con modi poco lusinghieri dal pubblico della Scala, non è a dire che agli occhi della critica paresse proprio un peccato mortale. Tacciamo degli entusiasti che trassero argomento del capitombolo per sollevare a perdita di vista il caduto, ciò che è riputato anche dai benevoli un’esagerazione di pessimo gusto, ma perfino i più ostili alle nuove idee professate audacemente dal Boito, furono concordi nel vedere in quest’opera molta dottrina, frequenti lampi d’ispirazione, e audacie fortunate. E se disgraziatamente l’arte non ei ha guadagnato nulla, non è almeno impossibile che T autore possa con un’altra creatura aggiungerle quel decoro che le ha promesso col Mefistofele. A compiere questa, rapida rassegna di tutti gl’ingegni musicali che si sono misurati coll’opera letteraria del grande intelletto alemanno, rimane a dire, che (oltre Meyerbeer) Rossini e Beethoven avevano in mente di scendere «alla prova. Quest’ultimo anzi vagheggiò durante tutta la vita l’idea di porre in musica il poema di Goethe; di questa intenzione non rimane che una canzone della Pulce, improvvisata in un momento di buon umore, verso il 1807; altre fatiche lo distolsero. APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA MARIA DEL FILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI I. LA VEGLIA DI SAN GIOVANNI Bella e serena era la notte del 24 giugno 1629. Il bosco di pioppi, che anche oggidì si stende sulle rive del tranquillo Manzanares, era in allora più folto e si chiamava il Bosco del fiume. Colà nelle notti d’estate avvenivano i misteriosi convegni dei galanti cavalieri della Corte di Filippo IV con le loro belle, tutte nascoste in ampii pepli, quantunque per verità non si comprendesse la ragione di tanta segretezza, attesa la licenza nei costumi di quella corte. Nella notte, onde sto per parlare, il concorso era assai maggiore dell’usato; il bosco, illuminato da un’infinità di lampionini a colori, aveva l’aspetto de’ più allegri, animato com’era dalle grida dei venditori di ciambelle, zuccherini odorosi e bibite dolci; qua e là vedevansi dei padiglioni nascosti fra i cespugli, nel cui fondo cenavano coppie d’amanti o allegre brigate, fra le quali non mancava qualche poeta, dei molti che fiorirono durante il regno di Filippo IV. La foresta era gremita di gente d’ambo i sessi: quando le dame passavano vicino alla luce delle lanterne, i broccati delle loro vesti, le gemme che ornavano le loro capigliature e la bellezza dei loro neri e grandi occhi, brillavano malgrado il misterioso e seducente ammanto che le copriva. Da tutte parti udivansi parole tronche, sospiri amorosi o circospetti avvertimenti, formando il tutto un cosi confuso rumorìo, che invano anche uno dei molti osservatori più destri che colà trovavansi, avrebbe potuto farne la descrizione. — Vicino al pioppo grande segnato da una croce, diceva una dama, che passava appoggiata al braccio di altra, all’orecchio di un cavaliere che rimaneva ritto e immobile come chi bada ad altro. ■ — Mio marito è qui! susurrava un’altra volgendosi al galante che la seguiva. — Quanto ti amo. Leonora mia! esclamava sospirando un azzimato marchese avvicinando la bocca al manto della bionda e velata duchessa, la quale si appoggiava al suo braccio con provocante abbandono. E le parole, i sospiri ed i sommessi colloquii andavano perdendosi fra le aure profumate di quella splendida notte d’estate. In uno dei chioschi illuminati dai palloncini, e formato da verdi rami, cenavano due uomini. Quella parte era la più animata e la più popolata del parco: una delle molte musiche, con cui i galanti cavalieri facevano omaggio alle loro belle, man