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266 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO senza pretendere d inabissarvi giù nelle profondità filosofiche, ei paiono il meglio che si possa offerire ai musicisti da camera. Quanto ai pregi letterarii, queste poesie hanno principalissimo quello della semplicità castigata, della correzione senza il freddo della pedanteria; qualche volta imitano i grechi modelli, ma si approssimano più alla maniera latina, conservandosi sempre italiane, e se non tutte sono felici ad un modo, tutte però sono belle — e ve n’ha di bellissime. Dicono sentimenti gentili e non punto stravaganti, esprimono idee e moti del cuore che appartengono alla comune dei mortali nei quarti d’ora di poesia, e nondimeno non riescono mai banali, perchè quasi sempre le idee si conchiudono in maniera nuova, e la forma ha colori bizzarri. Anche il sole è comune, e i suoi raggi sono patrimonio di tutti, ma se passano attraverso un prisma di cristallo vi par di assistere ad un’allegra festa di colori. Fate conto che i sentimenti e i pensieri sieno raggi di sole e che la mente del poeta sia un prisma! (Continua) S. F. Ai brevi cenni dati intorno a Michele Carafa, aggiungiamo le seguenti notizie che troviamo nella Revue et Gazette Musicale di Parigi. È nota l’affezione, diremo meglio, il culto di Carafa per Rossini. L’autore del Guglielmo Teli riconoscente per tanta devozione ed ammirazione, gli abbandonò i diritti d’autore che gli produceva quest’opera, la qual cosa permise a Carafa di vivere in onesta agiatezza. Si narra un fatto assai commovente della moglie morta nel passato anno. Durante l’assedio di Parigi, Carafa era già gravemente infermo; se egli avesse saputo la moglie in pericolo sarebbe morto di dolore. La signora Carafa usò allora un pio stratagemma per lasciargli ignorare i progressi rapidi della sua malattia; si pose d’accordo col medico e con alcuni amici, e simulò una partenza appena seppe prossima la sua fine. Si disse a Carafa che la moglie avea potuto essere condotta fuori di Parigi, e che dopo l’assedio sarebbe ritornata del tutto ristabilita. La signora Carafa avea preparato lettere colla data anticipata da un furono che la paese in cui fìngeva avesse cercato rifugio; queste lettere esattamente consegnate e Carafa ignorò sino alla fine moglie l’avesse preceduto nel sepolcro. Rivista Milanese Sabato, 10 agosto. La Jone, che succedette al Papà Martin, ha sfatato le illusioni che il pubblico del Politeama si era fatto sugli intendimenti dell’Impresa. Quale abisso tra l’esecuzione dell’ultima opera di Cagnoni e questa prediletta del maestro Petrella! Risuscitarono come per opera di incantesimo le poco belle tradizioni del passato inglorioso; e il pubblicò, pur riconoscendo che aveva avuto torto di fidarsi, aveva sul viso la mortificazione d’un villano a cui un giocoliero ha posto in mano uno scudo d’oro, un vero scudo d’oro, nuovo di zecca, che poi si trova essere un disco di ferro bianco. Speriamo che l’impresa sia partita dal falso ragionamento che le opere vecchie, che hanno l’amicizia del pubblico, van trattate alla buona, come i vecchi amici; perchè ciò almeno lascia sperare maniere meno confidenziali colle altre opere che ei sono promesse. La prima delle quali è la Follia a Roma del maestro Ricci, lavoro che corse la Francia trionfalmente e che a Genova due volte, ed altrove ebbe esito stupendo. Fu scritturata perciò la brava signora Perniili, che fu prima in Italia ad interpretare la parte principale; le altre parti saranno affidate a Bùttero, alla signora Luini, al tenore Parasini e al baritono Baldassari. Dirigerà l’orchestra il giovine maestro Luigi Ricci, nipote dell’autore. Tornando per poco alla Jone, diremo che la signora Boema seppe farsi applaudire; è artista intelligente - e piena di sentiB APPENDICE LA SORELLA DI VELAZQUEZ LEGGENDA STORICA DI MARIA DEL PILAR SINUÉS DE MARCO VERSIONE DALLO SPAGNUOLO DI (Continuazione, Vedansi i N. 25, 26, 27, 28, 29, 30 e 31/ Molto tempo rimase in quell’attitudine abbattuta in cui la lasciammo, in capo alla quale aprissi con circospezione la porta della camera da cui entrò la giovane che vedemmo soccorrere Anna quando svenne nella casa dove la depositarono i rapitori. Quella giovane s’avanzò lentamente alcuni passi, in sulle punte de’ piedi, inchinando graziosamente il capo credendo addormentata la povera Anna. Essa era una di quelle creature robuste, belle e sveglie; aveva le fattezze un po’grossolane, ma assai seducenti; i begli occhi e i capegli, neri al pari dell’ebano, armonizzavano deliziosamente colla sua tinta scuro-rosea e la bocca pareva fatta unicamente pel sorriso; giacché al più leiggero movimento mostrava, nonostante la loro picciolezza, due file di candide perline incastonate nel corallo. Portava una veste liscia di seta dai colori vivaci, e il suo colletto lasciava vedere, a dispetto della moda di quel tempo, la parte superiore di un collo rotondo e morbido. La camera nella quale trovavasi Anna, per la sontuosità dei suoi addobbi, mostravasi adatta alla bella che l’albergava; le tappezzerie di damasco bianco erano guarnite di grandi frangie fermate da grossi cordoni a fiocchi d’oro; le sedie di damasco granata di colore vivo, erano ricche di uguali guarnizioni, e quattro superbi specchi di colossali dimensioni riproducevano gli oggetti. La giovane giunse, adagio adagio, sino alla scranna di Anna e dolcemente si appoggiò sulla spalliera; indi abbassò il capo vicino a quello della fiamminga per vedere se effettivamente dormiva. — Dio mio! siete svegliata, signora! esclamò alzandosi di nuovq. perchè aveva veduto brillare come due stelle i grandi occhi di Anna. — Non dormo, rispose essa con accento fioco e melanconico; però non vi ho sentita entrare, Stella. — Lo credo bene, disse la giovane, la cui fronte s’era coperta d’una nube di tristezza; come mi potevate udire vate immersa in una di quelle nocive meditazioni che vertono in una statua? La fiamminga sorrise mestamente e non rispose. stacon- se mi dice — E malgrado ciò, continuò Stella, il signor conte tutti i giorni: non lasciate a donna Anna un solo istante di solitudine o d’inquietezza, perchè ciò la ucciderebbe. — Piacesse a Dio che cosi fosse! bisbigliò Anna alzando al cielo uno sguardo molle di lagrime. — Ma, Dio mio! perchè volete morire donna Anna? Siete tanto giovane, immensamente bella, e avete amici potenti che vegliano per voi e si interessano alla vostra sorte... Come è mai possibile che vi pesi la vita? — Non lo so, Stella, rispose la giovane con mesto accento; non so il perchè, ma io desidero la morte con tutto il cuore. — Vi cruccia la separazione di vostro fratello? — Oh, si!., rispose Anna portando al cuore ambo le mani, come se Stella avesse toccato ivi una ferita dolorosa e profonda. — Ma sono soltanto due giorni che non lo vedete, e avete inoltre la speranza di vederlo presto. — Questa speranza la vado già perdendo, Stella! Quando il conte mi tolse da Madrid, assicurommi che m’avrebbe condotta alla nuova casa di mio fratello... e per’anco non l’ho potuto vedere... Ma... continuò la povera fanciulla tremando, ma... in questi ultimi giorni mi avvengono cose tanto strane... Perchè mi tolsero a forza dalla nostra abitazione del palazzo di Madrid? Perchè mi condussero alla vostra casa per alcune ore, per poscia traumi qui?... Perchè mi assicurò quel cavaliere, che chiamate il signor conte, che verrebbe presto Diego, se non ho potuto sino ad ora vederlo? Stella, Stella!... codesto conte... lo confesso mi fa paura!...