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GAZZETTA MUSICALE DI MILANO 269 scopo a cui deve mirare chi s’occupa d’arte, si è quello di cooperare con tutta possa per l’incremento dell’arte stessa, spogliandosi di qualunque riguardo, abborrendo da qualunque reticenza che valesse ad orpellare il vero. L’esecuzione vocale fu buona assai, il Medini sovra tutti, ebbe momenti stupendi, e momenti pure felicissimi ebbe il Villani. La sig. Urban Rachele, nuova per le nostre scene, si fece applaudire di molto, tanto pella voce limpida, estesa, soave, quanto per elettissimi modi di canto, e la sig. Mariani, Eudossia, non venne meno alla bella fama che ella già si acquistava, si nel Mosè che nel Ballo in maschera. Il Corsi ripara alla qualità della voce, che suona piuttosto sgradita e che mal si fonde colle altre voci, con un accento intelligente, appassionato; questo giovine farà, nel suo campo di tenore leggiero, buona carriera. Degli altri non mette il conto di occuparsi. I cori meritano specialissime lodi, perchè assai di rado, come dissi, è dato udire una esecuzione corale cotanto stupenda. Il brindisi nell’atto primo ed i cori a bassa voce negli atti secondo e quarto ebbero una esecuzione divina: onore al maestro Acerbi. La messa in scena lascia, beninteso, a desiderare; ma come si fa a pretendere di più per una miserabile liretta? Ora si sta provando la Cenerentola che andrà in scena martedì prossimo, e poscia avremo, a quanto sembra, la Linda di Chamounix perchè il nostro timoniere, già tanto noto in tutte le acque, venne nella determinazione di abbandonare l’idea di dare il Ruy-Blas. L’importante si è di far presto assai, perchè il tempo vola. Nella prossima settimana, ragguagliandovi dall’esito della Cenerentola, vi parlerò di altre cose, e principalmente dello spettacolo monstre che si sta preparando per l’Apollo, stagione carnovale e quaresima. Si tratta di un progetto grandioso e perciò voglio occuparmene di proposito. PARIGI, 7 agosto. Il Conservatorio di musica e di declamazione — Auber giudicato troppo leggermente dal ministro Giulio Simon, ecc. L’avvenimento più importante della settimana è la solennità della distribuzione dei premii ai laureati del concorso al Conservatorio di musica e di declamazione. Comincio dal dirvi che vi sono andato con piacere e che ne sono uscito rattristato ad un tempo stesso ed irritato: mi affretto a spiegarvi il perchè di questi due sentimenti. È l’usanza, e da lunghissimo tempo, di far precedere la distribuzione delle ricompense agli alunni del Conservatorio da un discorso o allocuzione del Ministro dell’Istruzione pubblica, dalla cui giurisdizione dipende questo Stabilimento. Quest’anno il discorso è stato pronunziato dal sig. Giulio Simon, che ha il portafogli del Ministero dell’insegnamento. Giulio Simon sarà un filosofo, un moralista, uno scrittore più o meno felice e più o meno radicale, ma è affatto -negato alla musica. Avrebbe potuto facilmente tirarsi d’impaccio, mantenendosi sulle generali, inculcando ai giovani alunni l’amor del lavoro, felicitandoli dei progressi finora fatti ed esortandoli a farne nell’avvenire; ma no: egli ha voluto entrare come suol dirsi in materia, ed erigersi a giudice delle diverse scuole musicali. Fin qui il male non sarebbe stato troppo grave, perchè ognuno sarebbe rimaso libero di far il caso che avrebbe voluto delle simpatie del ministro périma scuola piuttosto che per un’altra. L’inconveniente è venuto dall’aver l’oratore voluto parlar di Auber e come compositore e come direttore del Conservatorio. Ora non essendo Giulio Simon in grado di giudicare del merito di Auber, perchè, lo ripeto, conosce la musica come io i geroglifici egizii, ha domandato consiglio a quelli che lo circondano e che sono in certo modo i suoi famigliari, clientes come dicono i Romani. Il caso vuole che i favoriti del ministro sieno i partigiani della scuola neo-germanica, sprezzatoci d’ogni melodia, e per conseguenza i più accaniti nemici di Auber e consorti. Giulio Simon si è penetrato di quello che han potuto dirgli i suoi amici contro l’autore della Muta di Portici, e nel discorso pronunziato alla tornata solenne di lunedi scorso, ha lanciato una diatriba contro Auber, inculcando ai giovani alunni di non prender a modello un compositore che domandava le sue opere all’ispirazione piuttosto che al lavoro. Egli ha fatto all’autore del Dominò nero un delitto della facilità con la quale questi scriveva. Immaginate un po’che avrebbe detto dell’immortale Pesarese. Insomma, secondo Giulio Simon, il genio, la scintilla, il fuoco sacro non ei vengono dal cielo; il solo lavoro può farli nascere. Che si voglia inculcare l’amor del lavoro ai giovani discepoli, nulla di più giusto, di più utile, di più saggio, ma pretendere che tutti nascano con le stesse disposizioni e che al solo lavoro dobbiamo quel che siamo, è un assurdo che non ha nome. Che m” importa che tale o tal altro musicista oscuro abbia consumato il tempo e l’olio a studiare i classici, se non è giunto, ad onta del lungo e paziente lavoro, a produrre nulla di buono; e che m’importa che Mozart o Rossini, quest’ultimo più specialmente, abbiano lasciato delle opere imperiture avendo impallidito molto meno sugli autori antichi? Un uomo di genio scriverà un capolavoro a primo getto, senza cancellature, senza correzioni di sorta; ed un altro che sarà meno favorito dalla provvidenza impiegherà più giorni ad imbrattar carta, rifarà, cancellerà, correggerà, suderà acqua -e sangue e non produrrà nulla che valga. In fatto di scienze esatte, come, per esempio, le matematiche, il lavoro è indispensabile; in fatto di arte, oltre le regole ed il meccanismo, abbisogna quella tale scintilla sacra che chiamasi ispirazione o genio. Checché ne sia non era giusto nè conveniente, al momento stesso in cui, per una pietosa e lodevole idea, si vuol inalzare un monumento ad Auber, che un ministro venisse a gettare il biasimo sulla memoria dell’illustre compositore, che rappresenta la scuola francese contemporanea. Qualunque sia l’importanza di questa scuola, relativamente a quella di altre nazioni meglio dotate, non bisogna mica dimenticare che Auber, durante più di quarant’anni, se ne è fatto il rappresentante. Ed è appunto nel recinto del Conservatorio del quale fu per così* lungo tempo il direttore che si osa vituperarlo? Vero è che le parole di Giulio Simon, delle quali egli stesso non ha calcolato la gravità, sono rimaste senza eco quando l’oratore le ha fatte udire, e che l’indomani la stampa periodica, che è l’espressione dell’opinione pubblica, ne ha fatto severa giustizia. Ecco quel che avviene quando si vuol parlare di materie alle quali si è completamente estraneo. Del resto, non è la sola pecca che ho notato nel povero discorso del ministro dell’Istruzione pubblica. Egli ha anche detto che l’artista, l’esecutore, l’interprete è quasi tutto nel merito di un capolavoro; il che è inesatto al più alto punto. Don Giovanni o il Barbiere non sono e non restano meno capilavori, anche quando sono mal eseguiti e hanno per interpreti gli artisti più insufficienti. Certamente se l’opera nuova d’un compositore ignoto è affidata a cantanti che non ne faranno valere le bellezze ed i pregi, potrà essere mal giudicata dall’universale, ed anche cadere. Ma i veri conoscitori diranno che l’opera è stata sacrificatale che non meritava la triste sorte che ha sofferta. Capisco bene che il ministro, dirigendosi a giovani che s’incamminano per la carriera dell’arte, ha voluto dare la più grande importanza a questa carriera; ma non doveva farlo a discapito di quella dei compositori, quando l’artista sparisce dalla terra, tutto muore con lui, ma l’opera del maestro, ch’esso ha cantata, non muore quando il compositore discende nella tomba. Chi si ricorda dei nomi del tenore o della prima donna che cantarono la più bella opera di Porpora, di Piccini, di Lulli, di Gluck, di Mozart? E quand’anche i loro nomi non fossero obbliati, chi può ora farsi garante del merito di quegli artisti? Le opere dei maestri immortali testé citati resteranno eternamente come modelli dell’arte. Il ministro ha conchiuso, decorando della croce della Légion d’Onore tre professori del Conservatorio, il pianista Giorgio Mathias, il signor Elwart che era stato messo al ritiro, perchè il suo zelo senile non produceva più nessun allievo di merito, ed il vecchio attore del teatro francese, il sig. Regnier che ora è maestro di declamazione al Conservatorio, e che davvero meritava questa ricompensa. Qui non è l’uso di decorare gli artisti drammatici; notate che non lodo nè biasimo quest’uso, non fo che constatarlo, ed appunto per questo il Regnier non aveva potuto essere nominato Cavaliere dell’Ordine della Légion d’Onore. Come professore del Conservatorio ha potuto esserlo, alla stessa guisa che lo furono il suo collega Samson ed il tenore Duprez. La nomina di Regnier è stata vivamente applaudita. Ed è la sola cosa che abbia fatto veramente piacere nel discorso del ministro dell’Istruzione Pubblica. In quanto al risultato dei Concorsi, salvo il Pianoforte ed il violino, il progresso è poco sensibile, sopratutto nel canto. Vero è che l’annata è stata cosi dolorosa!