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292 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Il 17.° festival triennale a Norfolk e Norwich avrà luogo il 16 settembre e successivi giorni, sotto la direzione di Benedict. Si eseguiranno oratorii di Handel, Haydn, Mendelssohn e Sullivan, e vi prenderanno parte le signore Titiens, Albani, Wilhorst, Patey, Trebelli ed i signori Sims-Reeves, Cummings, Patey e Santley. L’Imperatore del Brasile ha nominato ufficiale dell’Ordine della Rosa, Giuseppe Verdi. Al teatro del Casino di Omburgo doveva andare in scena una nuova operetta di Luigi Orsini: La lotteria di Vienna. ¥ La costruzione del nuovo teatro di Breslavia procede alacremente; si spera di poterlo inaugurare il primo ottobre prossimo.

  • Da Londra fu mandato a Pekino un magnifico pianoforte, che deve essere

presentato alla futura imperatrice come dono di nozze dello sposo. E tutto incrostato di lacca ed è lavorato magnificamente; siccome però è probabile che l’imperatrice non sappia servirsene, così il fabbricante vi ha posto un meccanismo, mediante il quale il pianoforte suona da solo i seguenti pezzi: God save thè quéen, il Miserere del Trovatore, la Quadriglia dei Lancieri, il Valzer delle Rose e una così detta Marcia Chinese che non ò altro se non la Marsigliese. ty. Si dice che la nuova opera, Luigi XI, del maestro Luca Fumagalli, sarà rappresentata nella stagione 1872-73 nel teatro Nazionale di Nizza. Buone nuove: Lauro Rossi ha scritto la musica d’un’opera: La Contessa di Mons; il libretto di Marco d’Arienzo è tolto dalla Patria di Sardou. Sappiamo che l’egregio maestro Cagnoni ha acquistato la proprietà da Antonio Ghislanzoni di un libretto Francesca da Rimini, di cui ha già incominciato a scrivere la musica Quest’opera dovrà servire probabilmente all’inaugurazione del nuovo teatro di Vigevano. CORRISPONDENZE TORINO, 29 agosto. Le Nozze di Michslina del maestro Mariuno di Montaubry — Notizie. Oh le magre Nozze, oh i mali augurati sponsali del libretto del signor professore Savon colla musica del maestro Mariani Montaubry! E sì che non sono mancati paraninfi i quali, ricorrendo alla stampa dapprima e poi alle raccomandazioni officiose, avevano magnificate siffattamente queste Nozze di Michelina da presentarle come una meraviglia di bellezze e di spirito. Per fortuna lo stesso autore dirigeva l’orchestra, per malattia del maestro della Ferrera, se no eravamo a guai nella stessa prima ed ultima rappresentazione, specialmente a causa del tenore, certo Bridi, il quale, per lo suo meglio, ha fatto dire ch’era indisposto. L’argomento è una scipitissima farsa diluita in quattro lunghi atti: la musica, non ne avendo forse abbastanza, si diverte a ripetere quasi sempre i versi perfino nei recitativi, onde, malgrado i tagli praticati alla cosi detta prova generale, lo spettacolo ha la durata di cinque ore. Lo stile di questo lavoro è quasi costantemente intento a far cantare l’orchestra e far fare da pertichino gli artisti: sicché per quanto graziosi sieno i motivi istrumentali, e ve n’ha qualcuno nello spartito del signor Mariani, il peso e la noia recata dal continuo recitativo trascinano immancabilmente al cattivo umore: quando poi i cantanti hanno melodia, in generale è roba alla Offenbach e rivelano il fare francese ai meno pratici di cose musicali. I pezzi migliori sono: il preludio, molto ben fatto, sebbene troppo serio per quella buffonata d’argomento; l’ultima parte del lungo duetto fra baritono e basso, Graziosi e Fiorini, che ha procurato due chiamate, o meglio due ovazioni al maestro; la canzone del postiglione, detta male dal tenore, ma non di meno apprezzata abbastanza dal pubblico per plaudire all’autore; la frase finale del pezzo concertato dell’atto secondo, per la quale prorompendosi in un grandioso unisono, gli uditori si divertono al fine e ne ringraziano caldamente il maestro, che n’è causa; l’adagio della cavatina del soprano, signora Paoletti, l’aria del tenore coi cori, che ha delle novità istrumentali e vocali; qualche frase nel finale dell’atto terzo e le prime misure del valzer ultimo. Aggiungete però al bilancio passivo più sopra esposto una calata di sipario fuori di tempo; un tenore impossibile, i cori che non sapevano la parte e non la sapevano perchè non l’avevano potuta imparare, causa le strane difficoltà e la scapigliata tessitura; l’ultimo atto cantato quasi solo dall’orchestra e dal suggeritore e potrete figurarvi che razza di divertimento abbiamo avuto. Vi basti sapere che nel terzo atto la gente si era fatta rara ed al quarto il teatro era vuoto: alla seconda sera ha fatto sciopero.... l’impresa per mancanza di fondi ed il povero maestro, Velâzquez voleva gettarsi fra le sue braccia, ma lo rattenne la presenza di Rubens. — Mia figlia muore! gridò l’ambasciatore. Oh, figlia mia! aggiunse stringendo fortemente le mani di Velâzquez; rendiamole meno amara l’agonia prolungando il tuo pietoso inganno. — Diego! ripetè Anna con voce più debole. — Sorella! esclamò questi con uno sforzo che straziava il suo cuor generoso; sorella mia!.. Guarda qui il padre nostro! XV. ANGELO E MARTIRE. È una bella mattina di settembre. La casetta che Anna abitava in Anversa, prima della sua partenza per la Spagna con Velâzquez, appare silenziosa e solitaria come nell’epoca in cui la fanciulla viveva in compagnia dalla vecchia padrona Taddea. Tuttavia, ora, oltre le due donne che la occupavano in quel tempo, era abitata da tre altre persone. Nulla era mutato nell’appartamento di Anna di quello che v’era due anni prima e da quando la fanciulla vi dormiva i sonni della sua infanzia. Esso era adorno degli stessi ricchissimi fregi d’avorio colle sedie di velluto. Sulle finestre c’erano le medesime grandi cortine di damasco bianco; e l’identico crocifìsso era pure appiccicato in capo al letto. Ma in quel letto era stesa Anna, più bianca dell’alabastro. Sopra un bacile d’argento massiccio, posto su un tavolo nel centro della camera, vedevansi bottiglie e medicine. La giovane dorme. I suoi angelici lineamenti, avariati da tanti giorni di malore e d’angoscia, portano di già impressi i segnali della morte. Un’ampia veste di seta bianca circonda le scarne membra di quel corpo. I piedi, piccioli e bianchi come la cera, sono nudi e mezzo velati dalle pieghe della veste. Le piccole ed eburnee mani, quasi trasparenti, le stanno incrociate sul petto. E rimasta addormentata, fissando gli sguardi sovra un’imagine di Maria, che s’innalza in cima ad un inginocchiatoio ai piedi del letto. Un raggio di luce batte sulla bella e dolce fìsonomia della Madre di Dio, la quale sembra guardare e sorridere alla dormiente. In piedi e accanto al letto tre uomini contemplano il sonno di Anna con angustia indescrivibile. Il primo è un uomo d’imponente aspetto; il bianco che colora la sua folta capigliatura, è troppo lucente per non giudicarlo prematuro; una ruga profonda di dolore gli solca la fronte. È Rubens. Al suo fianco c’è un giovane pallido e magro; i suoi grandi occhi neri attestano molti giorni di patimenti. È,Velâzquez. A lui vicino sta Giovanni, il mulatto, riccamente abbigliato e con vesti all’intutto uguali a quelle dell’amato suo padrone. L’umiltà e la compunzione, che in altro tempo riflettevansi dalle fattezze del povero schiavo, sono scomparse. Ora è libero ed artista; ma amico fedele di Velâzquez non ha voluto abbandonarlo. Ha dietro di sè un cavalletto, sul quale è già dipinta ammirabilmente la povera Anna, addormentata, sul suo letto, di quel sonno che precede l’agonia. {Continua)