Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/306

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300 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO «tesmoings a ce requis, lesquels ont avecq le comparant et raoy «notaire signé la présente. P. SCHOULFORT pbre 1661 My pnt A. de Langhen My pnt P. Van Can 1661 1661 De Rop, not. pub. D. v. d. C. Giunta fra le quinte, essa vide la signora X... che cantava il finale del primo atto della Lucìa. «Eccola» pensò. Ravensvood e la sua fidanzata stavano per attaccare la stretta appassionata. La serva entra bruscamente, depone la zuppiera sulla zolla in faccia alla fontana; poi levando il coperchio e piantando un cucchiaio nel mezzo fumante come un Vesuvio: «Quando il signore e la signora avranno finito, la zuppa è in tavola!...» Si raccconta la seguente disavventura che afflisse la signora X... nella parte poetica della fidanzata di Lammermoor. La signora X, adora la zuppa di lenticchie. Esaù aveva lo stesso culto. E poi tutti i gusti sono in natura. Ogni volta che la signora X.. canta, si fa portare nel camerino una zuppiera di questa vivanda deliziosa. Alla sera del suo debutto in una città di provincia, s’informò dove le si potesse cucinare il suo.piatto favorito. Le fu indicata una piccola osteria vicina al teatro. Vi si recò e comandò in persona la zuppa. In fatti alle nove l’oste chiamò la serva e ponendole in mano un’enorme zuppiera, le disse: — Tu la porterai alla signora X... sulla scena. Sono dati gli ordini per lasciarti passare... Ma riconoscerai poi la signora?... — Siate tranquillo. La zuppa della prima donna soprano era squisita, coscienziosa, solida, ed esalava profumi appetitosi. La serva la portava come un santo sacramento. Tutte le porte si aprirono innanzi a lei. Sabato, 7 settembre. Ritornai con vero piacere a riudire il Freischütz; quest’opera era stata così poco eseguita l’anno passato, che serbava ancora un certo prestigio di novità; quel paio di rappresentazioni d’allora non avevano fatto che mettere in appetito per il desinare d’oggi. In fatti se il capolavoro di Weber alla sua seconda apparizione non ha la fortuna di suscitare l’entusiasmo d’un pubblico composto in massima parte di forestieri, non è più, io credo, neppur uno di quelli che Tanno passato confessarono d’essersi annoiati che ora non dichiari apertamente che quest’opera è un gioiello dalla prima all’ultima nota. Del rimanente l’accoglienza quasi silenziosa ai pezzi più irresistibili, come al valzer del primo atto, alla cantata di Gasparo, al coro dei cacciatori, è naturalissima se si pensa alla qualità del pubblico d’oggi. Arrestate — Va bene, disse Enrico con calma; da oggi in avanti, signora, abiterete la parte del palazzo opposta a quella che abito io coi miei figli, e non cercherete mai di vedere nè essi nè me. Questo è il vostro castigo. Tacqui; la mia alterigia non sapeva piegarsi alla preghiera. Da quell’istante vissi appartata, senz’altra compagnia che una donna di servizio, la quale ogni giorno andava a ricevere gli alimenti dal cuciniere del palazzo. Quando diedi alla luce Anna, la feci battezzare col mio nome e la mandai a Rubens colla cameriera Gisella; quantunque rejetta da mio marito, non tentai profanare la sua casa ricoverando in essa il frutto del disonore. Rubens non volle però offendere il decoro della moglie sua e de’ figli colla presenza della disgraziata creatura, e la depositò nella casa dove la vedeste, colla nutrice e la signora vecchia che conoscete. Giammai pensò ad essa; acciecato dagli onori e dalle cariche, la gloria offuscò l’anima sua; io, per lo contrario, andava, sola e velata, tutte le notti a imprimere un bacio sulla fronte di mia figlia. Quando il lume della sua ragione mi fece supporre che essa potesse, continuando a vedermi, riconoscermi, aspettavo che il sonno chiudesse i suoi occhi per vederla. In tal guisa passarono alcuni anni. Un giorno seppi da Gisella che mia figlia Duyweque (1), che contava quindici anni, era ammalata di petto, e che mio marito voleva condurla a Gand. Spiai il giorno della sua partenza, e saputolo nel precedente, mandai Gisella affinchè facesse allestire un cocchio assai modesto e scrissi una lettera. Nella notte andai a vedere Anna e le misi / 1) In fiammingo significa Colomba. fra le mani una lettera, nella quale l’incaricava che la consegnasse al primo uomo che le parlasse d’amore. Poscia l’abbracciai e partii. Seguii colla mia carrozza quella che portava Enrico e Duyweque ammalata, e nel giungere a Gand alloggiai nell’albergo di San Paolo, che era quello stesso scelto da essi. Passai un mese ascoltando alla parete della stanza dove soffriva la figliuola mia. Una notte udii grida dolorose che sfuggivano dalla bocca di mio marito. — Muore! gridava; muore! soccorso!... Balzai nella camera... Duyweque agonizzava giàGli occhi di mio marito fissaronsi su di me ad onta del suo dolore; una lagrima spuntò su suoi occhi, e inginocchiossi al mio fianco vicino al letto di nostra figlia, senza dirmi parola. Duyweque aprì gli occhi e gridò: — Mamma mia! Indi, come se Iddio l’avesse, in quell’istante inspirata, pose la mia mano in quelle del suo babbo... e spirò!!... Qui i singulti violenti tolsero la parola alla contessa, che pianse per alcuni istanti. I tre che udivano quella lagrimevole storia piangevano pure. La contessa così continuò: — Tre giorni dopo, e fatti i funerali della figlia, Enrico entrò nel mio appartamento. — Anna, mi disse; voglio che Duyweque riposi nel monumento di famiglia, il quale, come sapete, è posto in questa città. La giovane contessa d’Egmont deve riposare vicino a’ suoi avi. Chinai il capo in segno d’assentimento, ed Enrico aggiunse: — Vivete vicina alla sua tomba se volete; in tal guisa vedrete ogni anno il vostro figlio Yans quando andrà a portare una corona di fiori sulla tomba di sua sorella. (Continua)