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322 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO A G

Aulì M I Martini, Paolucci camminarono di pari passo nelle sue investigazioni con Palestrina, Monteverde e con i maestri del teatro moderno, Cimarosa, Paisiello. Cherubini, Gluck e Piccinni. Aveva solo tredici anni meno del suo illustre compatriota Grétry e si può dire che fu testimonio dei trionfi di questo genio. E nel 1806 che sposò la nipotina del cavaliere di Keralio, donna colta, di spirito attico e di eletta natura, autrice di una buona traduzione History of Music di William G. Stafford aumentata di note e di aggiunte. Quest’edizione venne a sua volta tradotta e pubblicata in tedesco a Weimar nel 1835. Per più di cinquant’anni la signora Adele Fétis fu la compagna inseparabile dell’uomo eminente che le diede il suo nome, associandosi a’ suoi lavori, alle sue pene, alle sue gioie e pigliando così larghissima parte a tutte le commozioni della sua vita. ‘Gli artisti ed i numerosi amici della famiglia Fétis, che, nel 1856, assistettero a Brusselle nella chiesa di N. D. du Sablon,. alla messa giubilare di questi venerandi sposi, non poterono ammirare senza commozione i due robusti vegliardi prosternati a piedi dell’altare attestanti colla loro forza e col loro vigore che non è il lavoro che uccida. Datano dal 1806 i primi lavori di Fétis nell’importante questione della ristaurazione del canto pieno romano. In questo mentre preparò pure la pubblicazione d’un giornale musicale, i primi saggi del quale non avevano potuto riuscire nel 1804 per le condizioni del tempo. In questo lavoro è giuocoforza limitarci; ma i lettori sanno benissimo che la Rivista musicale del signor Fétis, seguita dalla Rivista e Gazzetta musicale, doveva divenire più tardi una collezione immensa, una vera biblioteca da benedettino. Questa pubblicazione avrebbe bastato da sola alla fama d’un musicologo e ciò non di meno che cosa è dessa comparativamente a tutto ciò che è uscito in settantacinque anni dalla penna feconda del suo autore? Nel 1811, in seguito a rovesci di fortuna che spiega nella sua Biografia universale dei musicisti, Fétis si ritirò in campagna, nelle Ardenne, ove visse per circa tre anni lontano da qualunque centro musicale ed è là che scrisse la messa eseguita nel 1856 alla chiesa del Sablon a Brusselle, quivi altresì, secondo che racconta egli stesso, coltivò gli studi filosofici e si preparò bel bello a quanto doveva poi divenire la sua introduzione filosofica alla Biografia universale. Nel 1813, fu nominato organista della collegiale di Douai e professore di canto e d’armonia alla scuola municipale di musica di questa città. Egli confessa che una tale posizione gli fu immensamente utile per addimesticarsi nello studio dei gran maestri organisti e per gettare le basi del suo libro (che credo incompiuto) della Scienza dell’organista. E altresì in questa scuola che fece i suoi studi preparatorii sui diversi solfeggi, che pubblicò più tardi, l’ultimo dei quali: Metodo dei metodi di solfeggio, si pubblica ora presso T editore Schott di Brusselle. Quivi, finalmente, generalizzò i suoi lavori sull’armonia, verificò nuovamente i sistemi antichi e moderni e diè principio ad un trattato, i cui primi fogli furono stampati nel 1819 da Eberhardt. L’opera, ridotta ad alcune principali proposizioni, non vide ciò non di meno completamente la luce che nel 1824 sotto il titolo di Metodo elementare d’armonia e d’accompagnamento, di cui esiste una traduzione italiana eseguita a Napoli ed un’altra inglese fatta da Biskop a Londra. Se aggiungo a questi particolari che la Biografia universale, della quale si sono fatte due edizioni ed una terza del tutto rifatta, fu incominciata in quel tempo, non parrà esagerato quanto Fétis racconta del suo soggiorno a Douai: «che eMi vi lavorava renoCO O o larmente da sedici a diciotto ore per giorno.» E questo dai 22 anni a 31! )Ç. CAV..^AN JJcewyck. Rivista Milanese Sabato, 28 settembre Rabagas! Tutta la settimana è riassunta in questa parola. Se ne parlò prima che andasse in scena, se ne commentò il probabile successo, si disse ad una voce che Sardou col proprio lavoro non poteva aver preso di mira se non il suo paese, che in Italia quella satira si spunta, che farebbe torto al partito liberale chi mostrasse di esserne ferito, e tante altre belle ed ottime cose. Alla vigilia della rappresentazione si parlava di scandali che avrebbero a succedere, di chiusura di teatro, ecc. e un’ora prima che si tirasse su il sipario nessuno più dubitava invece che si andrebbe alla fine allegramente, senza inciampi di sorta. Non imbroccarono giusto nè gli ottimisti nè i pessimisti; in generale il pubblico era contegnoso, severo, non applaudiva nemmeno ai frizzi e alle arguzie di buona lega; tutti, monarchici, repubblicani, conservatori, oppositori s’erano dati al partito degli indifferenti; ma ciò non ostante una dozzina di giov inotti, colla testa calda, non piena che di buone intenzioni, si ostinarono a intendere a modo loro il Rabagas, a vederci entro un’ingiuria a tutto il partito liberale, a Garibaldi, ai repubblicani; erano venuti per fischiare e fischiarono, volevano fare schiamazzo, e se ne cavarono il gusto e se ne fecero una festa. Lascio in disparte la vecchia quistione del modo delle disapprovazioni, chè il pubblico di Milano in generale (parlo del pubblico che va ai teatri e non di quello che di solito sta alla taverna) sa come si dee condannare una commedia ed un autore; e torno al Rabagas. Chi è codesto figuro? È un faccendone, un avvocato intrigante, senza coscienza, che fa l’opposizione arrabbiata per appetito dell’offa, che avutala, volta le spalle ai cenci che gli dan del tu, e da repubblicano feroce, diventa conservatore, meglio o peggio d’un questore, dopo aver aizzato il popolo alla rivoluzione, avute le redini in mano, lo fa caricare dalla cavalleria. I giornali hanno detto che Rabagas è francese; codesta è una vana adulazione agli Italiani ed una gratuita ingiuria ai Francesi; è un confoiìdere, per desiderio di non far quistioni, l’uomo co] partito. Se dite: «in Rabagas si specchia un partilo liberale francese,» offendete il partito liberale italiano, il quale non vuol poi bere si grosso da accettare la grazia che gli sr fa. La cosa va posta nel vero altrimenti: nossignori, Rabagas non è nè francese, nè italiano, nè turco, nè repubblicano nè conservatore; è semplicemente Rabagas, vale a dire un soggettaccio di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutti i partiti, una banderuola che ha la maschera del tribuno e quella del cortigiano, e un solo culto - il ventre! Se di questi uomini in Italia, in Francia, in Egitto ve n’hanno, si arrabbino pure della mordente satira di Sardou, ma non tirino il partito liberale g