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354 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO Però sin qui esso non s’appoggia che sulla giustizia mondana, mentre invece ha aperto un campo ancor più vasto. Mille vizii che quella tollera impuniti, questa punisce; mille virtù, di cui quella tace, questa raccomanda. In ciò ha compagne la saggezza e la religione. Da questa pura sorgente esso ritrae massime e modelli, e veste l’austero dovere con un abito attraente e lusinghevole. Con quali sentimenti, risoluzioni e passioni esso commuove il nostro animo! qual divino ideale esso ei presenta per esser imitato! Quando il buon Augusto, generoso come i suoi Dei, porge la mano a Cinna, suo traditore (il quale già crede di leggere sulle sue labbra la sentenza di morte) e gli dice: «Siamo amici,» chi fra la folla non stenderebbe in quel momento la mano anche al suo mortai nemico, per somigliare al divino Romano? Quando Francesco di Sickingen sul punto di punire un principe e di combattere per dritti stranieri, senz’avvedersi, dà uno sguardo dietro a sè e vede elevarsi il fumo di suo castello, dove moglie e fanciulli rimangono privi di aiuto ed egli... tira avanti, per mantenere la parola data; quanto grande m’appare qui l’uomo e piccolo e spregievole il destino temuto insuperabile! Altrettanto orridi si riflettono i vizi in detto specchio quanto amabile la virtù. Quando Lear privo d’aiuto, per notte e temporale, picchia alla porta di sua figlia, quando egli dondola nell’aria la sua bianca capigliatura e narra ai sordi elementi quanto snaturata fu la sua Regan, quando finalmente il suo dolore, fatto furioso, prorompe in queste terribili parole: «Ti diedi pur tutto,» quanto detestabile ei si presenta qui l’ingratitudine! con quanta solennità facciamo voto di rispetto ed amor figliale. Ma il campo d’azione del Teatro si distende ancora maggiormente. Là pure dove religione e leggi stimano al disotto della loro dignità di seguire i sentimenti umani, esso si prende cura della nostra educazione. Il benessere della società viene altrettanto inquietato dalle follie che dai delitti e dai vizi. Un’esperienza vecchia come il mondo c’insegna che nel corso delle cose umane sovente i più grandi effetti sono prodotti dalle più piccole cause, e se noi seguiamo le azioni fino alla loro origine, nove volte su dieci ei avviene di doverne sorridere ed una di meravigliarci. Ogni giorno che passa diminuisce per me il numero dei cattivi e si accresce quello dei pazzi. Se tutta la colpa morale d’un genere si dovesse ascrivere ad una sola ragione, se tutti gli orribili estremi di vizi che possono averlo fatto soffrire non fossero che forme diverse, che gradi più elevati d’una qualità che noi tutti saremmo di accordo in iscusare, perchè dovrebbe la natura aver osservato la medesima regola per un altro genere? Io conosco un solo segreto per preservare V uomo da farsi cattivo, ed è di proteggere il suo cuore contro le debolezze. Una gran parte di quest’effetto possiamo attenderlo dal teatro. Esso presenta lo specchio alla numerosa classe degli stolti e sottoponendoli ad un salutare scherno, fa vergognare le mille specie dei medesimi. Ciò che esso otteneva, come detto qui sopra, colla commozione e coll’orrore, raggiunse qui (e forse più presto e più sicuramente) collo scherzo e colla satira. Volendo intraprendere di misurare gli effetti conseguiti dalla commedia e dalla tragedia, saremmo probabilmente costretti a porre innanzi rango alla commedia. Derisione e disprezzo feriscono più sensibilmente l’orgoglio dell’uomo che non ne sia tormentata la coscienza dall’orrore. La nostra viltà si nasconde in faccia all’orrendo; ma appunto questa viltà ei scopre in faccia al pungolo della satira. Leggi e coscienza ei proteggono sovente contro i delitti ed i vizi; a non cadere nelle ridicolaggini si richiede un particolare animo più fino, cui noi in nessun luogo esercitiamo meglio che al teatro. Forse concederemo ad un amico di attaccare i nostri pensieri ed il nostro cuore, ma ei costa una gran pena a permettergli un solo riso. I nostri errori tollerano un ispettore ed un giudice, le nostre scostumatezze appena un testimonio. Il teatro solo può ridersi delle nostre debolezze, perchè esso risparmia la nostra sensibilità e non vuol conoscere il pazzo che ne è colpevole. Senza arrossire noi vediamo cadere la nostra maschera in quello specchio ed internamente gli siamo grati del dolce avvertimento Ma la sua influenza è ancora di gran lunga più estesa. Il teatro è una scuola di saggezza pratica, migliore che ogni altra istituzione civile, una guida nella vita cittadina, una chiave infallibile che ei apre l’accesso al fondo dell’anima umana. Concedo che T egoismo ed una coscienza indurita non di rado rendono nulla la sua miglior impressione, che mille volte il vizio sostiene audacemente la sua faccia davanti quello specchio, che molti buoni sentimenti resteranno senza frutto incontrando il freddo cuore dello spettatore. — Io stesso son di parere che forse Y Arpagone di Molière non migliorò ancora alcun usuraio, che il suicida Beverlei allontanò ancora pochi dal detestabile furore del giuoco, che la sventurata storia dei malandrini di Carlo Moor non rese ancora più sicure le strade; ma, pur limitando questo grande effetto del teatro, anzi volendo esser cosi ingiusti da negarlo interamente, quanto non resta ancora della sua influenza? Se esso non cancella, nè diminuisce il numero dei delitti, non ce li ha almeno fatti conoscere? Con questi colpevoli, con questi pazzi abbiamo pur da vivere. Noi dobbiamo o schivarli od incontrarli; o calpestarli o sottostar loro. Ma ora non potranno più sorprenderci, chè noi stiamo in sull’avviso dei loro colpi. Il teatro ei ha svelato il segreto per riconoscerli ed impedir loro di far male. Esso strappò all’ipocrita la fìnta maschera e ei scopri la rete con cui astuzia ed intrigo ei circondavano. Esso trasse fuori dai tortuosi labirinti l’inganno e la falsità e mise a giorno la loro spaventevole figura. Può essere che la moribonda Sara non spaventi alcun voluttuoso, che tutti i quadri della seduzione punita non raffreddino il suo furore, che l’astuta attrice pensi essa’stessa seriamente ad impedire quest’effetto, gran bene però sempre che l’ingenua innocenza conosca ora i suoi lacci, che il teatro le abbia insegnato a diffidare dei suoi giuramenti, a fremere delle sue protezioni. (Continua’). Rivista Mh_anese Sabato, 21 ottobre. Il desiderare lungamente una cosa senza ottenerla ha questo di buono che esercita la pazienza e spalanca le porte del Paradiso; per tale rispetto i frequentatori del teatro del Verme hanno il diritto di mettersi il cuore in pace perchè la loro porzione di beatitudine eterna se la sono guadagnata davvero! Parlo naturalmente della terza rappresentazione della Favorita colla Galletti; sempre sospirata, sperata, promessa e differita sempre. È ancora lo stesso metro di due settimane fa; e come allora si tiravano gli oroscopi per la prima rappresentazione, ora si tirano per la terza; le cronache commentano le maggiori o minori probabilità, domandano spiegazioni, ne ricevono, ne danno, sempre collo stesso zelo - nè più nè meno di prima. Frattanto quel teatro, ridotto ad un Ballo in maschera molto mediocre, avrebbe dovuto campare melanconicamente l’esistenza se non era il famoso Visir da tanto tempo annunziato, il quale credette bene finalmente di risvegliarsi e di portare il suo coreografico puntello all’edifizio barcollante della stagione. Il soccorso venne in buon punto e riuscì tanto più efficace, in quanto il Trovatore che doleva succedere al Ballo in maschera giovedì passato, si ammalò aneli’ esso e non farà la sua solenne apparizione che stasera. Non ho timore di asserire che sarà un Trovatore, come se ne trovan pochi, perchè avrà ad interpreti quella valente artista che è la signora Angelica Moro, il tenore Aramburo, la signora Barlani-Dini ed il baritono Faentini-Galassi. Tornando al Sogno di un visir dirò che il successo fu assolutamente lusinghiero! Non mi domandate che cosa sogni quel benedetto visir, chè voi lo sapete meglio di me: passi ad otto, ballabili, gruppi plastici e un passo a due. Nè più nè meno di tutti i visir che io ho conosciuto dacché bazzico nei teatri. Ci è