Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1872.djvu/359

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del cuore col Quegli che salda colonna la loro forza, OGNI considerato come una istituzione morale DISCORSO DI SCHILLER letto in Mannheim nell’anno 1784. il lice lo consentisse lo spazio. N. della. Redazione. dove manti) Questo- splendido discorso, voltato per la prima volta in italiano, apparve non è gran tempo nei giornali politici; siccome uno scritto di Schiller non invecchia e le cose dette in questo articolo rimarranno eternamente opportune, abbiamo creduto di poter aspettare a riprodurlo quando dalla passione, confessa le sue più leggere commozioni; cade ogni maschera, svanisce ogni belletto, e la verità si tiene incontaminata come il giudizio di Radamante. La giurisdizione del Teatro incomincia là dove ha fine più nobile trattenimento. per il primo osservò: che la religione è la più dello Stato, che senza essa le leggi stesse perdono quegli, probabilmente senza volerlo o saperlo, ha Una generale,* irresistibile aspirazione alle cose nuove e straordinarie ed il desiderio di sentirsi l’animo agitato da passioni diedero origine al Teatro. Lasso e sovente oppresso dalle monotone faccende che gl’impone la sua carriera e sazio di darsi ai pensieri, l’uomo doveva provare un vuoto nella sua esistenza, che mal s’addiceva al suo istinto d’attività. La nostra natura, del pari incapace a perdurare nello stato animale, ed a continuare i più gentili lavori dell’ingegno, desiderava uno stato medio, il quale congiungesse due fini opposti, moderasse le rozze tensioni in una dolce armonia ed insensibilmente ei facesse passare da una condizione in un’altra. Ora questo vantaggio si ritrae essenzialmente dal sentimento estetico, dal sentimento per il bello. Ma siccome il primo intento d’un saggio legislatore quello dev’essere di scegliere fra due effetti il più rilevante, cosi egli non si limiterà a solamente disarmare le inclinazioni del suo popolo, ma vorrà ancora, se gli sarà fatto possibile, rivolgere le medesime a disegni più elevati, e prenderà cura di trasformarle in fonte di felicità: è perciò che sovra tutto egli prescelse il Teatro, come quello che apre un campo infinito allo spirito vago d’attività, dà alimento ad ogni forza dell’anima senza troppo spingerne alcuna e riunisce l’educazioni della mente e sostenuto il più sublime scopo del Teatro. Appunto questa insufficienza, questa instabile qualità delle leggi politiche, che rendono la religione indispensabile allo Stato, determinano pure la morale influenza del Teatro. Le leggi, intendeva egli dire, s’aggirano solo sopra doveri negativi, la religione estende le sue esigenze a reali azioni. Le leggi impediscono solo le azioni che rompono i legami della società, la religione comanda di quelli che li stringono vie più. Quelle dominano solo su manifeste espressioni della volontà; questa continua la sua giurisdizione fin nelle intime fibre del cuore e segue il pensiero fino alla sua prima sorgente. Le leggi sono variabili e caduche’, mobili come capriccio e passione; la religione lega fortemente e per sempre. Ma pur volendo concedere ciò che giammai avviene, cioè che la religione eserciti tutta questa grande influenza sul cuore di ogni uomo, sarà egli ch’essa completi o possa completare l’intiera educazione? La religione (e qui distinguo il suo lato politico dal divino), la religione agisce in generale con tanta efficacia forse unicamente per mezzo della sensibilità dell’uomo. La sua forza è perduta se noi le togliamo questo. Come invece agisce il Teatro? La religione è più un nulla, per molti, se noi annulliamo le sue immagini, i suoi misteri; se noi distruggiamo i suoi quadri del cielo e dell’inferno, e pertanto non sono questi che quadri di fantasia, enimmi senza soluzione, spauracchi ed allettamenti indefiniti. Quanto maggior vigore non ne verrà alle leggi ed alla religione, se formeranno lega col Teatro, dove si trova la contemplazione e la vita presente, dove vizio e virtù, felicità e miseria, follia e saggezza in mille forme si presentano unite e reali all’uomo; dove la Provvidenza gli spiega i suoi enimmi, ne slega i nodi davanti i suoi occhi; dove il cuore, trasportato mite delle leggi umane. Quando la giustizia si lascia acciecare dal denaro e crapula a spese del vizio, e gli oltraggiosi potenti prendono a scherno la sua debolezza, ed il timore lega il braccio all’autorità, allora il Teatro prende in mano la bilancia e la spada, e trae i vizii ad un terribile tribunale. Tutto il regno della fantasia e della storia, il passato e l’avvenire sono sottomessi ai suoi cenni. Audaci colpevoli, che già da gran tempo putridiscono in polvere, sono nuovamente citati dall’onnipossente appello dello scrittore e ripetono la loro obbrobriosa vita a terribile insegnamento per la posterità. Deboli al par dell’ombra in un concavo specchio, passano davanti i nostri occhi quelli che furono lo spavento di quell’epoca e compresi d’orrore malediciamo alla loro memoria. Se nissuna morale non viene più insegnata, nessuna religione non trova più credenza, nessuna legge non ha più vigore, ei raccapriccia tuttavia Medea, allorché essa vacilla giù per la scala del palazzo, e che l’assassinio figliale è commesso. Un salutare ribrezzo provano allor gli uomini ed ognuno in cuor suo si compiacerà della sua netta coscienza quando Lady Macbeth, quella terribile sonnambula, si lava le mani e ricorre a tutti i profumi dell’Arabia, onde estirpare l’orribile odor del commesso assassinio. Tanto è certa la più possente azione della visibile rappresentazione che non quella delle morte lettere e delle fredde narrazioni! Tanto è più certo che produca un effetto più vivo e più costante il Teatro che non la morale e le leggi.