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44 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

trae partito da tutto e riesce efficace sebbene in diversa maniera dei narcotici. Ho scritto la parola wagnerismo perchè l’ho udita pronunziare vicino a me e mi duole non già che si faccia biasimo a Verdi di aver imitato Wagner, ma che si conceda alla musica di Wagner, il vanto gratuito di assomigliare alla musica di Verdi. Certo se il wagnerismo e l'Aida fossero sinonimi io mi farei fin d’ora apostolo di Wagner, ma è bene intanto non confondere il merito notorio di pochi bellissimi pezzi di alcune opere di Wagner col merito del melodramma o peggio della scuola wagneriana. A stare alle idee che abbiamo avuto fino ad ieri non si potrà certo accusare di wagnerismo un’opera che affascina dalla prima sera come l’Aida. Si sa che le supposte malie di Wagner sono opera d’una maliarda che ha bisogno di civettare a lungo prima di riuscire; è una specie di magnetismo, dicono, a cui occorrono molte sedute, molta buona fede e molta buona volontà. L'Aida va per le spiccie, piace alla prima; certo piacerà sempre più in seguito, perchè questa è condizione di tutte le cose intimamente buone, ma per promettere il paradiso non incomincia a far provare il purgatorio. Testimonio il pubblico della Scala che trovò fin dalla prima sera l’occasione frequente di uscire dal rigore di prammatica delle grandi occasioni per abbandonarsi all’entusiasmo. E non ho che a citare come mi vengono in mente, non già i pezzi migliori dell’opera, chè ciò mi porrebbe in imbarazzo, ma quelli che al pubblico della prima rappresentazione parvero tali. Così nel primo atto il coro di guerra, l’aria di Aida, l’invocazione al nume e le bellissime danze sacre, nel secondo le danze dei mori, il duetto tra Amneris e Aida, dove il dramma musicale grandeggia in ogni frase, la marcia, il pezzo concertato e il coro finale di vittoria, che è d’una sonorità e d’una potenza meravigliosa; nel terzo l’aria d’Aida O patria mia, mai più ti rivedrò, il duetto tra Amonasro e Aida, che è uno stupendo accoppiamento dell’inspirazione melodica colla passione e fu interrotto più volte da applausi specialmente alla frase Rivedrai le foreste imbalsamate, il successivo duetto tra Radamès e Aida, di fattura squisita; nel quarto il canto dei sacerdoti, la scena del giudizio e l’imprecazione di Amneris e finalmente la pagina ispirata che chiude lo spartito, vale a dire il duetto tra Aida e Radamès nel sotterraneo, in cui l’inno della morte si mesce a quello dell’amore e ai canti della cerimonia religiosa. In tutti questi pezzi la melodia è sempre chiara, naturale, originale; ed ho citato questi, giova ripeterlo, non solo perchè il pubblico li ha gustati più degli altri, ma perchè a voler citare tutto ciò che è melodico, chiaro e naturale ed efficace dovrei citare tutta l’opera. Ora io voglio riserbarmi per un’altra volta il lusso di questa citazione, quando il pubblico, festeggiando l'Aida dalla prima all’ultima nota coll’entusiasmo che pose ieri nella maggior parte dei pezzi, cancellerà la memoria del primo trionfo con trionfi sempre maggiori. E questo, senza molto presumere della mia virtù fatidica., ho fede che avverrà prestissimo. L’esecuzione affidata alle signore Stolz e Waldmann, a Fancelli, a Pandolfini, a Maini e a Povoleri non poteva non essere squisita. Non ostante le commozioni inseparabili da una prima rappresentazione d’una nuova opera di Verdi, tutti questi artisti uscirono dalla difficile prova cogli onori del trionfo. Un’ottima Amneris fu la signora Waldmann; piena di anima, di fuoco di passione, ad ora ad ora innamorata, gelosa, vendicativa, feroce e pentita, corretta e vera sempre. La sua voce che è di un timbro piuttosto dilicato pareva dovesse rimanere sopraffatta dalla potenza della parte; al contrario superò tutte le difficoltà di canto, tutte le difficoltà d’accento, senza tradire un momento di debolezza o di freddezza; solo quando impreca ai sacerdoti nell’atto quarto si sente il bisogno d’una voce robusta e calda come quella della Fricci, ma in tutto il rimanente dell’opera la critica più arcigna non saprebbe di che farle rimprovero. La Stolz fu grande al solito; ella seppe piegare la sua voce prepotente al canto a fior di labbro senza tradire la violenza dello sforzo: la passione della giovine Etiope non potrà drammaticamente avere interprete che la uguagli e certo per ciò che è canto nessuna che la superi. Perfetti nelle loro parti di Amonasro e di Ramfis furono Pandolfini e Maini. Nel duetto con Aida nell’atto terzo e nel terzetto che segue Pandolfini fu così vigoroso nell’azione, così efficace nell’accento, così corretto nel canto che meglio non si poteva desiderare. In quanto a Fancelli chi ha udito la sua voce una volta non la dimentica più; nell’Aida è ancora lo stesso che era nella Forza del Destino e nel Giuramento; è un elogio che può sembrare un biasimo e vuol essere l’uno e l’altro. Certo anche nella parte di Radamès come voce e come canto non ci è nulla a rimproverargli, ma manca alquanto nell’accento, e nuoce non poco all’effetto di alcune frasi drammatiche. Siccome non sono mende irreparabili, e siccome non sono che mende, la critica non perde il suo tempo a notarle. Il Povoleri (Re) fece assai bene la sua parte, i cori benissimo, l’orchestra stupendamente; si notò un po’ d’incertezza di tono nelle sei tube che intonano la marcia egizia, ma è da accagionarne la commozione. Le scene del Magnani furono trovate belle e furono applaudite; stupenda è in ispecial modo quella dell’ultimo quadro che divide orizzontalmente il palcoscenico in due i parti, l’una delle quali rappresenta il tempio di Osiride tutto colonne e luce, l’altra la tomba in cui Radamès è sepolto vivo e ritrova Aida. I vestiarii sono tutti pittoreschi e di molto buon gusto; ci è fra gli altri il costume delle danzatrici del primo atto che è d’un’eleganza rara. Naturalmente ciascuno di coloro che concorsero al lieto esito di questo stupendo spettacolo ebbe la sua porzione di apoteosi; il maestro Faccio direttore d’orchestra, il maestro dei cori Zarini, lo scenografo, ecc., dovettero apparire più volte alla fine dell’opera insieme con Verdi. Non mancò che l’autore del libretto, e ciò non già perchè il pubblico se ne fosse dimenticato, ma perchè al primo udire il suo nome, pare che Antonio Ghislanzoni andasse a nascondersi dietro un praticabile. Se la cosa è vera, questa sua eccessiva modestia non