Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/137

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Libro terzo 111

Occorre adunque oculatezza, specialmente da parte dei rappresentanti dell’offeso, poichè questi vicarî o campioni, il più delle volte hanno la missione di sicarî; eontro i quali, e contro il loro mandante si deve invocare la legge con tutti i suoi rigori, perchè estranei alla vertenza, vendono il loro braccio e profittano di una offesa altrui per dare sfogo ad una vendetta personale.

ART. 219.

Nell’apprezzare i fatti e nel determinare il grado dell’offesa, parleranno sempre a nome proprio, mai citando gli apprezzamenti del loro mandante.

ART. 220.

Nel difendere gl’interessi del proprio cliente, i rappresentanti si guarderanno dall’usare parole o gesti che potrebbero offendere, anche lontanamente, la suscettibilità di uno dei rappresentanti.

Nota. — Ciò proverebbe assenza assoluta di tatto e attirerebbe meritamente sull’autore lo sdegno e il disprezzo dei colleghi; giacchè, è contro ogni regola cavalleresca che da una vertenza ne sorgano altre. Però, è pure necessario far notare, che è dovere dei rappresentanti di non fare sfoggio di una suscettibilità intempestiva nelle trattative della vertenza. Il padrino, in una questione d’onore, deve esercitare il suo ufficio liberamente e non sotto l’impressione che, una sua parola, male interpretata da un altro, possa chiamarlo a duello. Così, come si esonera dal duello l’avvocato, il deputato, ecc., ecc., che nell’esercizio delle loro funzioni pronunciano frasi vivaci, ma che non contengono offese rigorosamente personali, si deve parimenti esonerare da ogni responsabilità il rappresentante, che in una vertenza d’onore pronuncia frasi vivaci, ma non rigorosamente offensive e personali, per la difesa e tutela degli interessi del proprio cliente.