Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/35

Da Wikisource.

Libro 9


dichiarerà se l’eccepito è decaduto dalle prerogative cavalleresche. A scanso di fraintesi: all’offeso che non ha provocato si deve sempre una soddisfazione, qualunque sia la posizione sua di fronte allo leggi d’onore (v. art. 223).

ART. 7.

Poichè non può esistere una vertenza senza un offeso ed un offensore, i rappresentanti nei casi di disaccordo o di contestazione si appelleranno a un giurì (o ad un arbitro) per l’attribuzione di codeste qualità.

ART. 8.

Se i quattro rappresentanti non possono accordarsi sulla entità o qualità dell’offesa; o se una delle parti rifiuta il giudizio dell’arbitro o del giurì, o pone condizioni alla libera scelta dei giudici o degli assessori, o limitazioni al compito del giurì, l’azione cavalleresca non può avere seguito, e la vertenza verrà rimessa, se n’è il caso, alla Corte d’onore1 dai rap-

  1. Fino ad oggi il progetto delle Corti d’onore, presentato ripetutamente alla Camera dei Deputati dall’on. V. E. Orlando, è rimasto allo stato di progetto. Nell’attesa che sia tradotto in legge, è stato accettato dai gentiluomini il principio di rivolgersi alla Corte d’onore permanente di Firenze (presid. Gelli; giudice relatore avv. P. L. Boldrini, via Roma 3, Firenze), o a persona autorevole, non interessata nella vertenza, per la nomina a suo arbitrio dei componenti la Corte. Generalmente s’invoca l’intervento del Comando militare più elevato in grado del luogo o della regione: del Presidente del Tribunale o del Sindaco, o quello di un uomo politico, o quello di persona stimata, ed esperta in questioni d’onore. Alla Corte, così composta, si fa pure ricorso d’appello nei casi nei quali un giurì d’onore abbia pronunciato un verdetto non ritenuto privo di errori. S’intende, però, che codesti ricorsi, qualora fossero riconosciuti pretesto per diminuire il valore morale del verdetto e l’autorità del corpo giudicante, portano come conseguenza alla squalifica dell’appellante.