che contribuiscono a rendere cara ed amata una principessa, si meritò del pari un posto distinto fra le donne illustri dell’epoca, tanto per l’acutezza della mente quanto per l’elevatezza dell’anima, e per il dono felice di saper ben governare. La di lei saggezza di vedute, la sagacia negli affari più spinosi, la prontezza nelle determinazioni, nelle circostanze più urgenti, furono spesso di gran soccorso al Duca, che pure era anch’egli, da questo lato, un privilegiato dalla natura. Essa, lungi dal volere, come altre, fare di lui uno spagnuolo, si fece lei vera piemontese, e fu così fedele collaboratrice dello sposo nei negozi politici, che nel 1595, quando esso, commosso all’aspetto dei suoi domini desolati dalla guerra, dalle imposte, dalla carestia, voleva accordare ai popoli una tregua alle angosce morali e materiali, vide invece dileguarsi il suo sogno di appoggiarsi a Spagna, e già pendeva verso Francia, assumendo
col suocero fisonomia diffidente, essa vi si associò, convinta che egli aveva ragione. Di rimando Carlo Emanuele era tenerissimo colla moglie, e, nelle lettere che le scriveva, la chiama spesso mia vita, signora della mia anima, ecc. E lui che aveva iniziato il
parlare italiano a Corte, con essa sovente scriveva e parlava spagnuolo. Usava il tu per affezione con lei, e separati, anche dopo dieci o undici anni di matrimonio, erano mesti, si scrivevano amorosamente, e dicevano di non trovar pace nè sonno a dormir soli. Carlo Emanuele era il felice tipo del marito amante della propria moglie.