Pagina:Gemma Giovannini - Le donne di casa Savoia.djvu/281

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maria cristina di borbone 231

si ritirò per alcuni giorni nel convento delle Carmelitane onde piangere liberamente e senza testimoni.

A Francesco Giacinto succedeva il fratellino Carlo Emanuele (II), allora di quattro anni. Si ripeterono le formalità del giuramento, e alla madre venne riconfermata la Reggenza. Tutto ciò rinnovò le pretese dei cognati, e i loro dissapori, e finalmente scoppiò quella guerra civile, che pendeva da tanto tempo minacciosa sul Piemonte.

Il principe Tommaso riusciva vincitore ovunque si presentava. Cristina si accinse a difendere Torino minacciata, mandando in sicuro in Savoia il Duchino con le sorelle; e intanto fece sapere a Luigi XIII, che per causa delle di lui pretese erasi ridotta a sì mal partito, perdendo in due mesi la metà del dominio. Ne ebbe in risposta di mandare in Francia i figli, e mettere in sicuro la fortezza consegnandola in mano ai francesi.

Era troppo! Cristina, alla crudele ingiunzione, si sdegnò, pianse, e minacciò chiudersi in un convento, abbandonando il governo ai cognati. Consigliata però dal d’Agliè, che colla sua prudenza temperò sovente le di lei risoluzioni, venne ad una mezza concessione. Doleva però tanto a lei di concedere alla Francia Cavour, che in cambio della forte rocca offerse i suoi diamanti. Ma il ministro francese, con audace impertinenza, le rispose che quei diamanti non avrebbero difeso lo Stato, come e sue lagrime non erano capaci a salvarlo; ed il trattato fu così sottoscritto. Non era, come suol dirsi ancor rasciugato l’inchiostro delle firme, che d’Emmery si