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Pagina:Gemma Giovannini - Le donne di casa Savoia.djvu/415

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maria clotilde di borbone 337

avevano costretto di apporre la firma; e ciò in omaggio al proprio onore, agli interessi di famiglia e ai rapporti politici con le altre potenze.

Adempiuto a questo dovere, Clotilde disse al marito che ve ne era da compiere un altro altrettanto imprescindibile, e scesi a terra, prima di ogni altra cosa si recarono alla Cattedrale, ove si cantò un Te Deum in ringraziamento a Dio, che li aveva fatti giungere a salvamento.

Indirizzatisi quindi al palazzo reale, fu tra una folla immensa e plaudente che percorsero la via.

Qui, nella quiete dell’isola, il Re proponevasi di fare tante belle e buone cose per la terra che gli era stata sì generosa di asilo. La Regina, attiva, energica, lo incoraggiava e sosteneva nei savi divisamenti, e la calma ritornava a poco a poco negli animi confortati dalla speranza che una lettera dell’ammiraglio Nelson, giunta il 28 aprile, aveva suscitato, avvisando il Re che le armi russe ed austriache progredivano nella conquista dell’alta Italia.

Qualche tempo dopo gli austro-russi fecero a Carlo Emanuele l’invito di ritornare in terra ferma e rioccuparvi i suoi Stati. Ed egli, lasciando la Reggenza all’ultimo dei fratelli, Carlo Felice, l’unico che allora si trovasse in Sardegna, partì sollecito con la Regina per Livorno. Le sue sventure però non erano terminate, e appena giunto a Firenze dovè fare sosta, colpito dalle notizie della crisi di Parigi, operata da Bonaparte, che ne raccoglieva tutto il frutto.