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maria clotilde di borbone 351

una cattiva notizia, una contrarietà qualunque, per ridurlo in convulsioni. E anche in questo caso toccò alla Regina ad aver coraggio per due, ad esortarlo alla rassegnazione, a rianimarlo con l’esempio.

Nella vita, dice Nicomede Bianchi nella sua storia della Monarchia Piemontese, vi sono battaglie, per sostener le quali fanno d’uopo virtù gagliarde, maggiori di quelle richieste in terra. Maria Clotilde le possedeva, e le usava con costanza, prudenza e coraggio, verso il marito. Eppure essa era ammalata ed afflittissima, e costretta come era la famiglia a fare ancora nuove economie, sottoposta ad un’altra riduzione di servitù. Ma l’angelica creatura non si doleva di dover bastare da se a tutti i suoi bisogni, bensì provava amaro cruccio di non potere aver che il congedo da offrire in ricambio della fedeltà ai suoi affezionati.

Correvano gli ultimi giorni del carnevale 1802, e in quell’epoca di esultanze e di piaceri. Maria Clotilde ritirata nell’immenso palazzo di Caserta, scorreva il suo tempo in preghiere e in riflessioni. Un dopo pranzo, recatasi a pregare nella chiesa della Trinità, sentì a poco a poco mancarsi le forze, e sarebbe malamente caduta, se la signora che l’accompagnava e alcune devote che la conoscevano e l’amavano non l’avessero sostenuta.

Riportata alla reggia e posta a letto, le si manifestò una febbre maligna che pose subito la sua vita in pericolo, e in breve, in mezzo ad atroci spasimi che essa sopportava senza mandare un lamento, rimpian-