Pagina:Gemme d'arti italiane - Anno I, Carpano, 1845.djvu/21

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I corsi tempi a lui veníano: innante

     Si vede ancora il cieco padre antico;
     Pensa all’inganno della madre amante,
     Che il primo nato gli facea nemico,
     Quando il veglio gl’impose la tremante
     Man sul capo e sclamò: Te benedico!
     E pargli udire il pianto e l’urlo istesso
     Ch’Esaù mise all’usurpato amplesso.
Ritornano i messaggi, e nunzian mesti
     L’armate schiere del fratello: ond’ei,
     Piena la mente di pensier funesti,
     Si prostra e prega: — O Dio de’padri miei!
     Dio d’Abramo e d’Isacco! a me dicesti:
     Riedi alla terra dove nato sei;
     Novo ben ti darò: pur veggo, o Dio.
     Che indegno ancor di tua pietà son’io.
Non merto, ah no! la veritade ond’hai
     Le tue promesse antiche a me serbato:
     Solo, col mio bastone, un dì varcai
     Quest’onda fuggitivo e sconsolato.
     Ora, o Signor, per te qui ritornai
     Di due seguaci torme accompagnato:
     Ma l’ira d’Esaù nel cor mi preme,
     Ch’ei non m’uccida madri e figli insieme. —
O tu che sempre mi guidasti a bene,
     E innumerabil seme a me destini
     Come le stelle in cielo e in mar le arene,
     Fammi ancor segno agli occhi tuoi divini!
     Vedi Esaù che nel furor sen viene
     Della natal contrada in sui confini:
     Tu poni nel mio cor l’umile affetto,

     E tu spira d’amor sensi al suo petto. —