Pagina:Gentile - Romanzo d'una signorina per bene, Milano, Carrara, 1897.djvu/133

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d’una signorina per bene 123

Egli la credeva leggiera, non c’era dubbio. Peggio di leggiera, la doveva credere volgare e avida di ricchezza.

Oh quello Svarzi!

Nell’aria del salottino, risuonavano ancora certe frasi dell’ingegnere Del Pozzo.

Dopo di averle detto del fallimento di casa Ferretti, egli aveva subito soggiunto che a lei restava intatta la piccola sostanza di sua madre.

E poi che a quelle parole, che la ferivano nella generosità, come se ella avesse potuto consolarsi della disgrazia del padre con il pensiero della propria sicurezza, le lagrime le erano corse agli occhi, egli aveva avuto la crudeltà di confortarla, facendola sperare in un avvenire che l’avrebbe rimessa nella condizione di prima; avvenire bello, brillante quale anche sua zia, la signora Marta, sospirava per lei!

Oh come egli le leggeva male nel cuore, come calunniava il suo sentimento!... Credere ch’ella potesse affliggersi della povertà, agognare a un matrimonio ricco, dividere le aspirazioni, i desiderii di quella povera donnicciuola di sua zia!... No, no; egli non la conosceva punto; non aveva per lei nessuna amicizia, nessuna pietà.