Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/259

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CANTO DECIMOTTAVO. 233

LXXVII.


     More alcuno, altri cade; egli sublime
Poggia, e questi conforta, e quei minaccia.
Tanto è già in su, che le merlate cime
612Puote afferrar con le distese braccia.
Gran gente allor vi trae, l’urta, il reprime,
Cerca precipitarlo, e pur nol caccia.
(Mirabil vista!) a un grande e fermo stuolo
616Resister può, sospeso in aria, un solo.

LXXVIII.


     E resiste, e s’avanza, e si rinforza:
E come palma suol, cui pondo aggreva,
Suo valor combattuto ha maggior forza,
620E nella oppression più si solleva.
E vince alfin tutti i nemici, e sforza
L’aste e gl’intoppi che d’incontro aveva:
E sale il muro, e ’l signoreggia, e ’l rende
624Sgombro e sicuro a chi diretro ascende.

LXXIX.


     Ed egli stesso all’ultimo germano
Del pio Buglion, ch’è di cadere in forse,
Stesa la vincitrice amica mano,
628Di salirne secondo aita porse.
Frattanto erano altrove al Capitano
Varie fortune e perigliose occorse:
Ch’ivi non pur fra gli uomini si pugna;
632Ma le machine insieme anco fan pugna.