Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/293

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CANTO DECIMONONO. 265

LXV.


     Or apparecchia pur l’armi mentite:
Chè ’l giorno omai della battaglia è presso.
Son, rispose, già preste; e quì finite
516Queste parole, e ’l Duce tacque, ed esso.
Restò Vafrino, alle gran cose udite,
Sospeso e dubbio, e rivolgea in se stesso
Qual’arti di congiura, e quali sieno
520Le mentite arme, e nol comprese appieno.

LXVI.


     Indi partissi; e quella notte intera
Desto passò, ch’occhio serrar non volse.
Ma, quando poi di novo ogni bandiera
524All’aure mattutine il campo sciolse,
Anch’ei marciò con l’altra gente in schiera:
Fermossi anch’egli ov’ella albergo tolse:
E pur anco tornò di tenda in tenda
528Per udir cosa, onde il ver meglio intenda.

LXVII.


     Cercando trova in sede alta e pomposa
Fra cavalieri Armida, e fra donzelle:
Che stassi in se romíta, e sospirosa
532Fra se co’ suoi pensier par che favelle.
Su la candida man la guancia posa,
E china a terra le amorose stelle.
Non sa se pianga o no: ben può vederle
536Umidi gli occhj, e gravidi di perle.