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Pagina:Gerusalemme liberata II.djvu/350

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320 LA GERUSALEMME

XCII.


     Giunge in campagna tepida e vermiglia,
Che d’ora in ora più di sangue ondeggia,
Sì che il regno di morte omai somiglia,
732Ch’ivi i trionfi suoi spiega, e passeggia.
Vede un destrier che con pendente briglia,
Senza rettor, trascorso è fuor di greggia;
Gli gitta al fren la mano, e ’l voto dorso
736Montando preme, e poi lo spinge al corso.

XCIII.


     Grande, ma breve aita apportò questi
Ai Saracini impauriti e lassi.
Grande, ma breve fulmine il diresti,
740Che inaspettato sopraggiunga, e passi:
Ma del suo corso momentaneo resti
Vestigio eterno in dirupati sassi.
Cento ei n’uccise e più; pur di due soli
744Non fia che la memoria il tempo involi.

XCIV.


     Gildippe ed Odoardo, i casi vostri
Duri ed acerbi e i fatti onesti e degni
(Se tanto lice ai miei Toscani inchiostri)
748Consacrerò fra’ pellegrini ingegni:
Sicchè ogni età, quasi ben nati mostri
Di virtute e d’amor, v’additi e segni:
E, col suo pianto, alcun servo d’Amore
752La morte vostra e le mie rime onore.