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62 LA GERUSALEMME

XCII.


     Tale i’ son, tua mercè: tu me da i vivi
Del mortal mondo, per error, togliesti:
Tu in grembo a Dio fra gl’immortali e divi,
732Per pietà, di salir degna mi festi.
Quivi io beata amando godo, e quivi
Spero che per te loco anco s’appresti;
Ove al gran Sole e nell’eterno die
736Vagheggerai le sue bellezze e mie.

XCIII.


     Se tu medesmo non t’invídi il Cielo,
E non travii col vaneggiar de’ sensi,
Vivi, e sappi ch’io t’amo, e non te ’l celo,
740Quanto più creatura amar conviensi.
Così dicendo, fiammeggiò di zelo
Per gli occhj, fuor del mortal uso, accensi:
Poi nel profondo de’ suoi rai si chiuse
744E sparve, e novo in lui conforto infuse.

XCIV.


     Consolato ei si desta, e si rimette
De’ medicanti alla discreta aita.
E intanto seppellir fa le dilette
748Membra ch’informò già la nobil vita.
E se non fu di ricche pietre elette
La tomba, e da man Dedala scolpita;
Fu scelto almeno il sasso e chi gli diede
752Figura, quanto il tempo ivi concede.