Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/113

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Ma l’eruzione è cessata — le sorgenti inaridite — il cielo plumbeo, opaco, minaccioso — gli augelli sorpresi dalla improvvisa caligine, si smarriscono per l’aere mandando strida lamentose...

La città si è dunque mutata in deserto? — Ma no — le vie, i balconi, i tetti, le torri, gli alberi sono scomparsi sotto quest’onda di popolo, che dall’agitazione rumorosa è passato d’un tratto all’immobilità, al silenzio più solenne. Si direbbe che, a punire questa titanica ribellione contro l’ordine della natura, Iddio abbia pietrificato di uno sguardo l’umanità tutta intera.

Dopo dieci minuti di attesa terribile, l’Albani sentì piovere sulla fronte uno gocciola refrigerante. Era la stilla invocata dal dannato Epulone... Il giovine levò al cielo uno sguardo più eloquente di ogni parola... e quello sguardo era l’inno di riconoscenza, era l’omaggio dell’intelligenza subordinata, che rimonta alla sorgente divina da cui emana e dipende.

Tutti i calcoli dell’Albani si erano avverati. Una pioggia lenta, fresca, abbondante, simile in tutto alla pioggia naturale, scendeva sulla terra a vivificare gli animali, le piante, i campi e le onde. L’artista non potè contenere un grido di soddisfazione; ma quel grido andò perduto negli applausi, nell’urlo di dieci milioni di spettatori. Quando l’Albani abbassò lo sguardo con sublime compiacenza per leggere su quella immensa superficie di teste l’ammirazione dell’opera sua, le teste erano già sparite sotto uno sterminato padiglione di ombrelli, ed egli potè sorridere, come Dio, sulla umana debolezza.

Due ore dopo, per mezzo dei fili telegrafici, la riuscita del nuovo meccanismo era annunziata agli estremi confini dell’universo, e l’artefice prendeva il suo posto fra i primati dell’intelligenza col nome di primo Albani.