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CAPITOLO VIII.

La pioggia artificiale.

I cinquanta subalterni, che fino a quel momento erano rimasti a guardia dei tubi ustorii, si diressero verso il centro della cupola, e concentrando le loro forze intorno ai manubrii, fecero scattare il coperchio della gran torre.

Allora fu udito un rumore simile al ruggito di mille Leoni; e una densa colonna di vapore lanciossi verso il firmamento; e il limpido azzurro si coperse di nuvole opache, divenne torbido e fremente come un lago all’irrompere di torrente impetuoso.

Io non vi saprei descrivere l’effetto meraviglioso di quella scena, e molto meno ritrarre le agitazioni, le impazienze, i terrori del giovane Albani, il quale da una gabbia sporgente dalla gran torre, aveva dirette le operazioni del pericoloso meccanismo; ed ora, avvolto da una nuvola ardente, fra lo scroscio spaventevole del vapore, somigliava ad Elia profeta, sospeso fra il cielo e la terra sul carro di fuoco.

L’Albani combatteva l’ultima crisi di quella febbre che uccide il genio col disinganno, o lo ravviva col successo.