Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/173

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La fanciulla non poteva penetrare l’orribile inganno di quella apparizione. Ella fissava quella larva con occhio attonito; meditava quelle sembianze come si medita un sinistro problema. Quella contemplazione, quella meditazione angosciosa doveva risolversi per lei in un giudizio altrettanto erroneo che tremendo: «Egli è ben desso, ma egli ha cessato di amarmi».

Era la logica più naturale che il cuore della fanciulla innamorata potesse seguire, la sola spiegazione che ella potesse ammettere dello strano turbamento che l’invadeva.

A sì triste convincimento, Fidelia nascose il volto fra le mani e proruppe in dirotto pianto.

Ma il Casanova (noi gli daremo il suo vero nome) non era uomo da smarrirsi di coraggio per quella fredda accoglienza. Magnetista di prima potenza, egli contava sulla forza del proprio volere per dominare quella gracile fanciulla estenuata dalle commozioni dell’amore e della paura.

Egli stese la mano sul capo di Fidelia, e accarezzando le chiome odorose per innondarle del suo fluido irresistibile, parlò con accento animato:

— Fidelia!... mia buona... mia bella Fidelia!... non era mestieri che tu mi chiamassi.... Sarei venuto ugualmente.... Anch’io numerava i giorni e le ore. Avevo bisogno di vederti. Un bacio, un solo tuo bacio potrà darmi la forza per reggere a questi ultimi giorni di prova.... Fidelia!... I momenti sono contati. Nessuno mi ha veduto entrare, nessuno mi vedrà uscire da questo luogo.... Non c’è a temere di nulla!... Oh! la mia bella Fidelia! Abbandonati agli istinti del cuore.... Poichè mi ami... poichè hai giurato di esser mia.... Mia sorella... mia sposa.... Tu mi ami: Io sapeva bene che tu non avresti negato questa gioia!... Le tue fibre sono commosse.... Allacciami il collo colle