Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/210

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credendo di amare, ha fatto violenza alle leggi della natura e si è reso impotente. Io vorrei bene, o signori (e qui la parola del medico riprese una intonazione più vibrata), io vorrei bene, se la situazione del malato non esigesse tutte le nostre sollecitudini, sbizzarrirmi alcun poco nella diagnosi di questa vacuità a cui le moltitudini danno il nome di amore!... Oh! chi scriverà la storia dell’amore? Chi vorrà riprodurre nella sua spaventevole ampiezza la cronaca delle follie e dei delitti derivati da questo equivoco, da questa fatale illusione della superbia umana? E fino a quando proseguiremo noi ad insultare la natura, a pervertirci, a suicidarci, per la mania di idealizzare a mezzo di una insensata parola l’attrazione simpatica dei sessi, comune a tutti gli enti, a tutte le molecole della creazione?

«Ma torniamo al malato. La prevalenza del fosforo, rivelata dalla esplorazione, mi è di buon augurio; l’assenza della febbre mi allarma. Provochiamo la febbre! provochiamo questa benefica agitazione del sangue che tende ad espellere dall’organismo gli atomi eterogenei.

«Soffiamo in questa bonaccia! suscitiamo la tempesta riparatrice!...

«E non perdiamo un istante (proseguì il medico, ritraendo la mano dalla fronte del malato); si chiami tosto... Ma, no!... io stesso sceglierò l’individuo da applicarsi...

«Vi è qui alcuno che possegga un ritratto della donna che questo infelice ha creduto di amare?...»

Fratello Consolatore si levò in piedi, levò dal portafoglio una fotografia e la porse al primato.

— Sta bene!... Conducetemi tosto ad una casa di Immolate... Là troveremo l’individuo simpatico che ci abbisogna.

E volgendosi ai giovani studenti che in silenzio lo avevano ascoltato: