Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/246

Da Wikisource.

— 244 —


mettere. Parlo della generalità; poiché in epoche poco remote da noi, come oggi, troviamo esempi luminosi di donne emancipate. Quelle emerite si chiamarono etère, cortigiane, cocottes; erano semplicemente delle audaci ribelli. Sentivano di essere forti, e spregiando gli assurdi pregiudizii, schiacciavano chi si arrogava il diritto di dominarle. La gelosia dei contemporanei, l’ipocrisia delle pusille, più tardi la stupida pedanteria degli storici e dei poeti, si piacquero stigmatizzarle come creature viziate ed infami; ma esse, cionnullameno, vissero da regine, e verrà giorno, quando noi avrem vinto la non ardua battaglia, verrà giorno, ripeto, in cui quelle generose iniziatrici della rivolta saran collocate sugli altari. Ciò che noi vogliamo è noto, la nostra unica aspirazione è quella di esser messe a pari col maschio. Non si pretende a supremazia; si esige l’uguaglianza. Uguaglianza di diritti, uguaglianza di posizione sociale, uguaglianza di trattamenti. Noi siamo elettrici; ma quante restrizioni a nostro disfavore! Noi paghiamo il nostro diritto di votare con sacrifizii, i quali talvolta ci costano la vita. La elettrice nubile dev’essere una vergine; la elettrice coniugata deve presentare un certificato di fedeltà segnato dal marito; le figlie del libero amore, assurdamente dichiarate illegittime, non hanno diritto di civile rappresentanza. Sempre la stessa disuguaglianza, la stessa tirannia da parte dell’uomo, e identici i risultati. Si è ottenuto, a forza di restrizioni, che la donna rappresenti una minoranza quasi impercettibile; in ogni lotta legale noi ci troviamo deboli, quasi impotenti; le nostre aspirazioni più legittime sono soffocate dalla violenza grossolana, brutale, dispotica, del sesso dominatore. Da che proviene tutto questo? Via! Non esageriamo di troppo i torti del maschio; l’ambizione del dominio è in lui naturalissima; ciò che fa meraviglia, ciò che rende inescu-