Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/285

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«Ma la tapina non potè proseguire, sgomentata da uno strepito di passi.

«Chi avrebbe esitato? Noi afferrammo il paniere dai due lati, e ansanti, desolati di non poter alla misera donna giovare altrimenti, con rapido volo ci allontanammo dal luogo nefasto.

— Povera Maria! — sciamò l’Albani; — quel Cardano... quel mostro... l’avrà uccisa.

— Egli l’amava troppo per ucciderla — disse il Levita. — Fui io stesso, che consigliai alla povera immolata il più grande dei sacrifizi, inducendola a seguire quell’uomo. Ed ecco, per mezzo di lei, alla provvidenza è piaciuto svelarmi l’autore della misteriosa disparizione di tanti neonati. Sì; avete ragione; Cardano è un mostro; ma egli è uno di quei mostri generati dall’orgoglio e della manìa di sapere, che in tanta copia si producono all’età nostra. Volendo conoscere le prime espressioni della favella umana e studiare gli istinti ingeniti della nostra specie, quello scienziato abbominevole esercitava la tratta dei neonati. Le piccole creature rapite alle madri venivano accolte e allattate da mute nutrici nel vasto edifizio destinato alle atroci esperienze. Parecchie centinaia di fanciulli d’ambo i sessi erano là da parecchi anni a stridere, ad ululare come animali selvaggi, avvoltolandosi nella terra, commettendo tutte le stranezze e gli abbominii suggeriti dall’istinto sfrenato...

— Orrore! orrore! — gridava l’Albani percorrendo la stanza a passi concitati.

— Il dolore delle madri è salito al cielo! — disse il Levita.

— E la giustizia umana compirà l’opera sua — soggiunse Lucarino. — Il fatto è segnalato. A quest’ora, sulle alture del Gottardo, migliaia e migliaia di cuori gridano: morte a Cardano.