Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/32

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Il signore si levò in piedi, e girò intorno una occhiata che fece abbassare tutte le ciglia.

Il medico e i domestici accorsero a lui, come infermieri al primo delirio di un malato.

Regnava nella sala un silenzio solenne. — Abrakadabra! Abrakadabra! Abrakadabra! tuonò la voce del signore.

E portò la mano alla fronte, rimanendo nella attitudine dell’abbarbagliato che invoca dalle tenebre una luce più veritiera.

Ma quella sera l'Abrakadabra non doveva essere l’ultima parola del signore.

Trascorsi pochi minuti, egli ritrasse la mano dalla fronte, e volgendosi ai tre antagonisti in sembiante più calmo:

«Grazie! mille grazie a voi tutti! — esclamò — se la vostra polemica, non mi ha dato l’ultimo verbo della idea, ha però versato molta luce sul caos. Io sento che le acque si separano dalla terra, che l’aria ed il fuoco prendono il loro posto. Fra poco raccoglierò i miei pensieri per ordinarli sotto questo raggio di luce, e forse domani potrò gridare eureka!»

Ciò detto, il signore fece un gesto di congedo, al quale tutti obbedirono. Il medico e i domestici, che parevano esitare, dovettero uscire dalla sala fulminati da un’occhiata inesorabile.

Poichè tutti furono usciti, il signore sedette, appoggiò i gomiti alla tavola, e, raccolta la testa fra le mani, si fece a passare in rassegna le proprie idee, adunandole per ordinarle o respingerle, come farebbe un generale con un esercito di sconfitti.

« — Ragione? forse che tutti non hanno ragione?... e non sarebbe più logico il dire che tutti hanno torto?... Il triangolo è necessario, perfetto. Ciascun lato presenta la