Pagina:Ghislanzoni - Racconti politici, Milano, Sonzogno, 1876.djvu/53

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stre del salotto erano aperte, e la voce del signor De Mauro giungeva all'orecchio dei due giovani innamorati.

— Sentite, Enrichetta? — cominciò Edoardo con qualche esitazione — essi trattano del nostro matrimonio!

— In verità, rispose la fanciulla, ciò che è accaduto ieri... ciò che accade in questo momento mi sembra un sogno.

— Un sogno felice, non è vero, Enrichetta?...

— Ma non è dunque vero ciò che mio padre mi diceva?... Fra quindici giorni?...

— Fra quindici giorni noi dovremmo essere uniti per sempre... Vostro padre non oppone nessuna difficoltà al nostro matrimonio, non è vero, Enrichetta?...

— Voi sapete, Edoardo, che da quella parte non potrebbero sorgere degli ostacoli molto gravi...

— Orbene, Enrichetta, ciò che vi ha di reale, ciò che vi ha di rassicurante per noi in tutto che accadde da ieri fino a questo momento, è che la nostra felicità dipende da noi soli, che il nostro avvenire è assicurato, e quand'anche...

Edoardo esitava a proseguire.

La fanciulla, fissando nel volto del giovane uno sguardo che esprimeva un sentimento indefinibile, ripetè macchinalmente le ultime parole proferite da lui.

— Enrichetta! — proruppe l'innamorato coll'accento della risoluzione — se queste nozze dovessero ritardarsi, se questo ritardo fosse desiderato... richiesto da colui che ti ama... da colui che ti ha consacrato il suo cuore... che darebbe il suo sangue per risparmiarti una lacrima... cosa diresti, Enrichetta? rispondimi: che diresti?...

Le guancie della fanciulla si animarono di un roseo vivace che era la irradiazione di una gioia mal repressa. Pure ella ebbe forza di dominarsi. L'egoismo dell'amore domandava di assaporare a lente stille la voluttà di una rivelazione desiderata. Enrichetta, simulando lo stupore, proferì a voce secca queste sole parole:

— Io non vi comprendo, Edoardo!

— Voi non mi comprendete?... Eppure a