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alla memoria di Negro. I cittadini ed i soldati (non si sa per qual cagione) erano animati da egual furore; parecchi dei principali uffiziali di Negro, che sdegnavano il perdono, o ne disperavano, si erano gettati in quell’ultimo asilo; le fortificazioni venivano riputate inespugnabili, ed un celebre ingegnere adoperò, nella difesa di quella piazza, tutte le forze della meccanica conosciuta agli antichi1. Bisanzio alla fine si rendè alla fame. I magistrati ed i soldati furono passati a fil di spada, le mura abbattute, i privilegi soppressi, e quella città, che dovea poi esser capitale dell’Oriente, divenne un piccolo villaggio aperto, e soggetto alla insultante giurisdizione di Perinto. Dione lo Storico, che aveva ammirato il florido stato di Bisanzio, ne deplorò la calamità, accusando la vendetta di Severo di aver tolto al popolo romano il baluardo più forte contro i Barbari del Ponto e dell’Asia2. La verità di questa osservazione non fu che troppo giustificata nel secolo susseguente, quando le flotte dei Goti coprirono l’Eusino, e penetrarono per l’indifeso Bosforo nel centro del Mediterraneo.

Negro ed Albino furono scoperti ed uccisi ambedue, mentre fuggivano dal campo di battaglia. Il fato loro non eccitò sorpresa nè compassione. Avean giocato

  1. L’ingegnere si chiamava Prisco. La sua abilità gli salvò la vita, e fu preso al servizio del vincitore. Per li fatti particolari dell’assedio V. Dione Cassio l. 1XXV p. 1251 ed Erodiano l. 1II p. 95. Per la teoria poi vedi l’immaginante Cav. Folard e Polibio, tom. I p. 76.
  2. Non ostante l’autorità di Sparziano e di alcuni Greci moderni, possiamo essere certi, per l’asserzione di Dione e di Erodiano, che Bisanzio giaceva in uno stato di rovina molti anni dopo la morte di Severo.