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310 storia della decadenza

antichi limiti e l’antico splendore della monarchia. Il gran Re pertanto (tale era il superbo stile delle sue imbasciate all’Imperatore Alessandro) comandò ai Romani di ritirarsi immediatamente dalle province dei loro antenati, e cedendo ai Persiani l’Impero dell’Asia, contentarsi della tranquilla possessione dell’Europa. Questo altiero comando fu fatto da quattrocento dei più alti e più belli Persiani, i quali con i loro superbi cavalli, colle armi lucenti, e col magnifico treno ostentavano l’orgoglio e la grandezza del loro Signore1. Una tale imbasciata era piuttosto una dichiarazione di guerra, che un principio di trattato. Alessandro Severo ed Artaserse, radunando ambidue le forze militari dei loro Imperi, risolverono di comandare in persona le loro armate in quella importante contesa.

Se diamo fede a quella che sembrerebbe la più autentica di tutte le memorie, che è a dire, un’orazione ancora esistente, inviata dall’Imperatore medesimo al Senato, dobbiamo confessare che la vittoria di Alessandro Severo non fu inferiore ad alcuna di quelle riportate una volta sopra i Persiani dal figliuol di Filippo. L’armata del gran Re era di centoventimila uomini a cavallo vestiti con l’intera armatura di acciaio: di settecento elefanti, che portavano sul dorso torri piene di arcieri, e di mille ottocento carri armati di falci. Un cotanto formidabile esercito, simile al quale mai non si trova nella storia degli Orientali, ed è appena stato immaginato nei loro romanzi2,

  1. Erodian. VI 209, 212.
  2. Vi erano dugento carri armati di falci alla battaglia di Arbella nell’esercito di Dario. Nel numeroso esercito di Tigrane, che fu vinto da Lucullo, diciassettemila cavalli soltanto