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ed altre immaginato un materiale paradiso di perpetua ubbriachezza1. Tutte però convenivano che la vita spesa nell’armi, ed una gloriosa morte in battaglia erano i migliori preparativi per un felice avvenire in questo, ed in un altro Mondo.

L’immortalità così vanamente promessa dai sacerdoti, era in qualche modo conferita dai Bardi. Questo ordine singolare d’uomini ha meritamente occupata l’attenzione di tutti coloro, che hanno tentato d’investigare le antichità dei Celti, degli Scandinavi, e dei Germani. Il loro genio ed il loro carattere, come ancora la venerazione portata al loro importante uffizio, sono state bastantemente illustrate. Ma non si può con eguale facilità esprimere, e neppur concepire l’entusiasmo di armi e di gloria, ch’essi accendevano nel petto dei loro uditori. Tra un popolo culto, il gusto per la poesia è piuttosto un trattenimento della fantasia, che una passione dell’animo. Pure, quando in un tranquillo ritiro si rileggono le battaglie descritte da Omero e dal Tasso, siamo insensibilmente sedotti dalla finzione, e proviamo un momentaneo trasporto di ardor militare. Ma quanto mai debole, e quanto fredda è mai la sensazione, che da uno studio solitario può ricevere un animo quieto! Nel momento della battaglia, o nella allegrezza della vittoria, celebravano i Bardi la gloria degli antichi Eroi, antenati di quei bellicosi capitani, che ascoltavano con trasporto

    si sforza d’interpretare le loro espressioni in un senso più ortodosso.

  1. Riguardo a questa grossolana, ma seducente dottrina dell’Edda, vedi la favola XX nella curiosa traduzione di quel libro, pubblicata dal sig. Mallet nella sua introduzione alla storia di Danimarca.