Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/456

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. x. 419

l’immenso Tauro, proteggevano l’innacessibil loro ritiro. Dalla coltivazione di alcune fertili valli1 ricavavano essi il necessario della vita, e gli agi dall’uso della rapina. Nel centro della romana Monarchia, gli Isaurici lungamente continuarono ad essere una nazione di barbari selvaggi. I Principi successivi, inabili a sottometterli con l’armi o con la politica, dovettero confessare la propria debolezza, circondando l’ostile e indipendente cantone con una salda catena di fortificazioni2, che furono spesso insufficienti a impedire le incursioni di quei domestici nemici. Gl’Isaurici estesero a poco a poco il lor territorio fino alla costa marittima, soggiogarono l’occidentale e montuosa parte della Cilicia, nido un tempo di quegli audaci pirati, contro i quali la Repubblica era stata una volta costretta ad impiegare la sua maggior forza sotto la condotta del gran Pompeo3.

Il nostro modo di pensare connette sì volentieri l’ordine dell’Universo col destino dell’uomo, che questo tenebroso periodo di storia è stato illustrato con inondazioni, terremoti, straordinarie meteore, soprannaturali caligini, e con una folla di falsi esagerati prodigi4. Ma una lunga e generale carestia fu ben più grave calamità. Fu questa l’inevitabile conseguenza della rapina e dell’oppressione, ch’estirpava il prodotto delle raccolte presenti, e la speranza delle future. La carestia vien quasi sempre seguita da mali epidemici, effetto del cibo scarso ed insalubre. Altre cagioni però possono avere contribuito alla furiosa peste,

  1. Strabone l. XII. p. 569.
  2. Stor. Aug. p. 197.
  3. Vedi Cell. Geogr. Antica tom. II p. 137 intorno ai confini dell’Isauria.
  4. Stor. Aug. p. 177.