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novecento miglia da Roma, il suo fratello rendeva lo spirito; ed una subita rivoluzione facea passare nelle mani di uno straniero lo scettro della famiglia di Caro1.

I Figli di Caro non si videro mai fra loro dopo la morte del padre. Le disposizioni, ch’esigeva la loro nuova posizione, erano probabilmente differite fino al ritorno del minor fratello a Roma, dov’era destinato un trionfo ai giovani Imperatori pel glorioso esito della guerra Persiana2. È incerto se avessero idea di divider tra loro il governo, o le province dell’Impero; ma è molto inverisimile che la loro unione dovesse lungamente durare. La gelosia della sovranità sarebbe stata infiammata dalla diversità dei caratteri. Carino era indegno di vivere anche nei tempi più corrotti; Numeriano meritava di regnare in un secolo più felice. Le affabili sue maniere e le sue mansuete virtù gli procacciarono, appena furono conosciute, il rispetto e gli affetti del Pubblico. Egli possedeva le belle doti di poeta e di oratore, che illustrano e adornano la più umile o la più elevata condizione. La sua eloquenza, benchè applaudita dal Senato, era formata più sul modello dei moderni declamatori, che su quello di Cicerone; ma in un secolo molto lontano dall’esser privo del merito poetico, egli ne disputò la palma coi più celebri suoi contemporanei, e rimase tuttavia amico dei suoi riva-

    ma Giovanni Malela, che avea forse veduto qualche ritratto di Carino, lo rappresenta come grosso, piccolo e bianco, tomo I. p. 403.

  1. Riguardo al tempo in cui questi giuochi romani furono celebrati, Scaligero, Salmasio e Cuper si sono dati gran pena per oscurare un soggetto chiarissimo.
  2. Nemesiano, nei Cinegetici, sembra che anticipi colla sua immaginazione quel fausto giorno.