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dell'impero romano cap. xv. | 329 |
senza connessione alcuna di governo o di disciplina; e riconoscendo essi la suprema giurisdizione del Senato, del Collegio de’ Pontefici e dell’Imperatore, que’ magistrati civili si contentavano della facile cura di mantenere in pace, e con dignità, il culto già stabilito fra gli uomini. Abbiam veduto poi quanto varie, quanto libere, ed incerte fossero le religiose opinioni de’ Politeisti. Si abbandonavan quasi senza ritegno alle naturali operazioni di una superstiziosa fantasia. Le accidentali circostanze della vita, e della situazione loro determinavan l’oggetto, ed il grado della lor divozione, e poichè la loro adorazione successivamente prostituivasi a mille Divinità, egli era appena possibile, che i loro cuori potessero essere capaci di una molto sincera, e viva passione per alcuna di quelle.
Quando comparve nel mondo il Cristianesimo, anche queste deboli, ed imperfette impressioni eransi appoco appoco ridotte a nulla. La ragione umana, che mediante la propria forza, non aiutata dalla rivelazione, non è capace d’intendere i misteri della fede, aveva già ottenuto un facil trionfo sopra la follìa del Paganesimo; e quando Tertulliano o Lattanzio si affaticano in esporne la stravaganza e la falsità, son costretti a far uso dell’eloquenza di Cicerone, o dell’ingegno di Luciano. Si era diffuso il contagio di questi scettici scritti molto al di là del numero de’ lor lettori. Era passata la moda dell’incredulità, dal Filosofo all’uomo di piacere o di affari, dal nobile al plebeo, e dal padrone al domestico schiavo, che serviva alla tavola di lui, e che attentamente ne ascoltava la libertà de’ discorsi. Nelle pubbliche occasioni la parte filosofica del genere umano affettava di trattar con decenza e con rispetto le religiose instituzioni della loro