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della cortigiana eleganza. Caro levandosi un berretto, che portava per nascondere la sua calvezza, assicurò gli Ambasciatori, che se il loro Sovrano non avesse riconosciuta la superiorità di Roma, egli avrebbe subitamente ridotta la Persia così nuda di alberi, come era la testa sua di capelli1. Malgrado le tracce di una studiata ostentazione possiamo da questa scena conoscere i costumi di Caro, e la severa semplicità, che i marziali successori di Gallieno aveano già ristabilita nei campi Romani. I ministri del gran Re tremarono e si ritirarono.

Non furono senza effetto le minacce di Caro. Egli devastò la Mesopotamia, tagliò a pezzi tutto quello, che si oppose al suo passaggio, s’impadronì delle grandi Città di Seleucia e di Tesifonte (che sembra essersi rese senza resistenza) e portò le armi sue vittoriose di là dal Tigri2. Egli avea preso il favorevol momento per una invasione. I Consigli Persiani erano divisi dalle fazioni domestiche, e la maggior parte delle lor forze era ritenuta sulle frontiere dell’India. Roma e l’Oriente ricevean con trasporto le nuove di vantaggi così rilevanti. L’adulazione e la speranza dipingevano coi più vivi colori la caduta della Persia3, la conquista dell’Arabia, la soggezione dell’Egitto, ed una durevole

  1. Sinesio attribuisce questo fatto a Carino, ed è molto più naturale di riferirlo a Caro, che a Probo, come vorrebbero il Petavio ed il Tillemont.
  2. Vopisco nella Stor. Aug. p. 250. Eutropio IX. 18. I due Vittori.
  3. Alla vittoria Persiana di Caro io riferisco il dialogo del Filopatride, ch’è stato per tanto tempo un soggetto di disputa tra i letterati. Ma sarebbe necessaria una dissertazione per ischiarire e giustificare la mia opinione.