Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/289

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dell'impero romano cap. xxiii 285

più da temere. L’indole di Giuliano era contraria alla crudeltà; e la cura della sua riputazione, esposta agli occhi dell’Universo, riteneva il filosofo Monarca dal violare le leggi della giustizia e della tolleranza, che egli stesso sì recentemente avea stabilito. Ma i Ministri provinciali della sua autorità si trovavano in un posto meno cospicuo; nell’esercizio dell’arbitrario potere essi consultavano i desiderj piuttosto che gli ordini del loro Sovrano; ed osavano d’esercitare una segreta e vessante tirannia contro i Settari, a’ quali non era loro concesso di conferire l’onor del martirio. L’Imperatore, il quale dissimulò più che potè la cognizione dell’ingiustizia, ch’esercitavasi in nome suo, espresse il suo real sentimento intorno alla condotta de’ suoi Ministri con dolci espressioni o con premj effettivi1.

Il più poderoso istrumento d’oppressione, con cui si armavano tali Ministri, era la legge che obbligava i Cristiani a far piene ed ampie riparazioni pe’ tempj, ch’essi aveano distrutti sotto il regno antecedente. Lo zelo della trionfante Chiesa non aveva sempre aspettato la sanzione della pubblica autorità; ed i Vescovi, sicuri dell’impunità, spesso eran marciati alla testa delle loro congregazioni ad attaccare e demolir le Fortezze del Principe delle tenebre. Furono chiaramente determinate, e facilmente restituite le terre sacre, che avevano impinguato il patrimonio del Sovrano o del Clero. Ma su quelle terre, e sulle rovine

  1. Gregor. Nazianzen. Orat. III. p. 74, 91, 92. Socrate l. III. c. 4. Teodoreto l. III. c. 6. Può accordarsi però qualche tara alla violenza del loro zelo non meno parziale di quello di Giuliano.