Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/323

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dell'impero romano cap. xxiv. 319

mente punto da tali popolari indulti; ma il Monarca, dotato di viva sensibilità, e che possedeva un assoluto potere, negò alle sue passioni la soddisfazione della vendetta. Un tiranno avrebbe, senza distinzione, proscritto le vite ed i beni dei cittadini d’Antiochia; i deboli Sirj avrebber dovuto pazientemente sottoporsi alla brutalità ed alla rapace barbarie delle fedeli Legioni della Gallia. Una sentenza più dolce avrebbe potuto privare la capitale dell’Oriente de’ suoi onori e privilegi; ed i cortigiani e forse anche tutti i sudditi di Giuliano avrebbero applaudito ad un atto di giustizia, che sosteneva la dignità del Magistrato supremo della Repubblica1. Ma invece d’abusare o di fare pompa dell’autorità dell’Impero per vendicare le personali sue ingiurie, Giuliano si contentò di una innocente maniera di vendetta, che pochi Principi sarebbero in grado di poter usare. Esso era stato insultato con satire e con libelli; compose dunque ancora egli un’ironica confessione de’ propri difetti ed una severa satira dei licenziosi ed effeminati costumi d’Antiochia col titolo di Nemico della barba. Fu pubblicamente esposta questa replica Imperiale avanti alle porte del palazzo; e tuttavia sussiste il Misopogon2 come

    guisa di abile Avvocato severamente censura la follia del popolo, che soffriva pel delitto di pochi oscuri ed ebrj miserabili.

  1. Libanio (ad Antiochen. c. VII. p. 213) rammenta ad Antiochia il recente gastigo di Cesare: e Giuliano stesso (in Misopogon p. 335) accenna con quanto rigore Taranto aveva espiato l’insulto fatto agli Ambasciatori Romani.
  2. Quanto al Misopogon vedasi Ammiano (XXII. 14). Libanio (Orat. parent. c. XCIX. p. 323), Gregorio Nazian-