Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IX.djvu/123

Da Wikisource.

dell'impero romano cap xlvii. 117

biti si radicarono secretamente nel dominii di Giustiniano, ed era un dovere d’ogni Giacobita violarne le leggi, e detestare il Legislatore. Appiattati dentro i conventi, e ne’ villaggi, costretti per salvare le lor teste proscritte a cercar asilo nelle caverne dei romiti, o nelle tende dei Saracini, sostenevano sempre, come oggi tuttavia i successori di Severo, il lor dritto al titolo, alla dignità, ed alle prerogative di Patriarca d’Antiochia. Sotto il giogo più lieve degli Infedeli risiedono, lungi una lega da Merdino, nel delizioso monastero di Zafaran, ch’essi hanno ornato di celle, d’acquedotti, e di piantagioni. Il Mafrian che soggiorna a Mosul, dova insulta il Cattolico o primate Nestoriano, a cui contende il primato dell’Oriente, tiene il secondo posto considerato tuttavia come assai decoroso. Ne’ diversi tempi della Chiesa giacobita si contarono sino a cencinquanta Arcivescovi o Vescovi sotto il Patriarca ed il Mafrian; ma l’ordine della gerarchia s’è guasto, o rotto, e i contorni dell’Eufrate e del Tigri forman la più gran parte delle loro diocesi. Si trovano ricchi mercadanti e bravi operai nelle città d’Aleppo e d’Amida, spesso visitate dal Patriarca; ma il popolo vive miserabilmente del lavoro giornaliero, e ha potuto la povertà non meno della superstizione contribuire alla imposizione volontaria di digiuni eccessivi; osservano ogni anno cinque quaresime, nel qual tempo e il clero e i laici non solo s’astengono dalla carne e dalle uova, ma ben anche dal vino, dall’olio e dal pesce. Si calcola la lor popolazione presente da cinquanta in ottantamila anime, misero avanzo d’una Chiesa numerosissima, scemata gradatamente sotto una tirannia di dodici secoli. Ma in sì lungo pe-